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lunedì 15 marzo 2010

Ouagadougou

Mercatino della frutta e verdura, comprese le fragole: deliziose.

Quasi assenti i trasporti pubblici. Motorini e biciclette, costruiti in Cina, sono il mezzo ideale per gli spostamenti in città e fuori.
Centinaia di carretti carichi di legna da ardere arrivano in città ogni giorno.

Lande desolate intorno Ouagadougou.

Una veduta del nuovo quartiere residenziale Ouaga 2000.

Parte del nuovo quartiere residenziale Ouaga 2000.

Polvere e caldo. Sono nel Sahel a Ougadougou la capitale del Burkina Faso. I 47° gradi non sono pochi alle 19,30. Una sottile e rossiccia polvere ricopre ogni cosa. Dall'aereo si ha una immagine di come la continua ed aggressiva opera dell'uomo contro la natura a che punto di non ritorno è ormai arrivata. Il disboscamento forsennato delle foreste a sud del Burkina Faso ha fatto si che le piogge si ritirano sempre più giù rendendo ancor più aride le lande già desolate delle regioni del Sahel. Ogni giorno centinaia, se non migliaia di carretti trainati da stanchi asinelli, trasportano legna da ardere verso la capitale. Carbone e legna sono ancora i più usati per cucinare. I Paesi produttori di petrolio potrebbero finanziare l'utilizzo di bombole di gas, a discapito di qualche metro quadro di nuove moschee. Ma quando mai!!! A pochi chilometri dal vecchio centro cittadino, è sorto il nuovo quartiere chiamato "Ouaga 2000". Ministeri, alberghi, centri commerciali, ambasciate, ville tutte sistematicamente con piscine...ma gli alberi? Solo sgargianti buganvillee all'interno delle alte mura in cemento che proteggono da occhi carichi di miseria l'opulenza dei nuovi ricchi del Burkina e dei Paesi vicini come la Mauritania o la Costa d'Avorio. Sempre più cemento e asfalto. A quando un bel polmone di verde? E zone rimboschite intorno a Ouagadougou? Ma forse rendono troppo poco in termini economici. In ogni caso ci saranno sempre i Paesi Occidentali ad occuparsi dell'eventuale siccità. Lo devono si o no spendere questo benedetto 0,56 % del PIL europeo?

domenica 11 febbraio 2007

Da Kayes a Bamakò in treno (3° parte) - De kayes a Bamakò en train -




                                                    Il treno entra nella stazione di Bamakò.

La notte passò senza nessun particolare avvenimento. L'aria era diventata più respirabile e la temperatura era scesa di poco, ma non avevamo il sole che dardeggiava implacabile. Si sentiva soltanto lo sferragliare delle ruote metalliche sulle ormai ben usurate rotaie. Non capivo come mai un convoglio del genere riusciva ogni volta ad arrivare bene o male a destinazione. Giungemmo in una piccola stazione. Si ripeteva lo stesso scenario folcloristico delle precedenti. Le carrozze viaggiatori venivano letteralmente prese d'assalto dai venditori di ogni tipo di mercanzia. Ma la più gettonata era l'acqua fresca. Ne comperai una buona quantità e me ne servii solo per lavare il mio sudicio corpo. La zona era in piena "brousse" povera e spoglia. L'area si presentava decapitata di tutti gli alberi più grandi. Si notava che ci avvicinavamo ad una grande consumatrice di legname: Bamako.
La polvere era onnipresente e la gente e gli animali ne sollevavano una enorme quantità. Il mio naso e la gola ne erano ben pieni. Tirai fuori, un pò dimenticato il mio fedele "schesh", compagno di molti viaggi in deserto. Me lo misi a mò dei Targui per proteggermi dall'invasione della polvere. Prima di ciò non rinunciai ad una doccia con acqua fresca. Mi venne un appetito da leone. Il caldo iniziava a dar fastidio. Ormai il sole aveva abbandonato la sua cuccia notturna e si presentava a noi con tutto il suo carico di fuoco. Vidi delle ottime papaye di buona grandezza e dal colore della pelle che mostravano, capii che erano al loro punto giusto di maturazione. Ed ancora una volta: la classica colazione africana a base di papaya. Ottima, era ancora di gradevole sapore fresco immagazzinato nella notte precedente. Ad un tratto mi resi conto che nulla si muoveva per riprendere il cammino. Ero un pò inquieto. Queste cose si sanno quando hanno inizio ma non quando hanno fine. Andai verso il fabbricato della stazione e parlai con il responsabile, il quale mi disse, senza essere troppo preoccupato, che la motrice era in panne. Mi confermò con poca convinzione che aveva contattato, via radio Bamako, ma non era sicuro del fatto, poichè poteva essere stato a rispondergli anche Dakar. In ogni caso qualcuno in Africa era a conoscenza che un convoglio era rimasto in panne nel più bel mezzo della "brousse maliana". Questo viaggio in treno cominciava ad essere stancante. Provai a restare calmo dicendo a me stesso tanto c'est l'Afrique. Ormai il sole dardeggiava con furore. Il caldo era quasi insopportabile. Mi misi sotto la piattaforma per restare in ombra. Curiosando la gente sembrava non curante del problema. Il guasto forse era l'ultimo dei loro pensieri. Forse non li riguardava, ma solo quel cretino di bianco, che ero io, si agitava. Il problema riguardava forse solo me. Il tempo non ha lo stesso valore che in Europa. Finalmente nel pomeriggio si senti un fischio di un treno in arrivo. Nessuno si proccupò più di tanto. I venditori seguitarono ad aggirarsi intorno al convoglio. Provai ad entrare nella mia Land Rover ma era come entrare in un forno. Ormai la poca acqua rimastomi era calda come un brodo e berla mi dava disgusto. Finalmente il convoglio mi mise in moto , ma piano piano poiché la nuova locomotiva doveva tirare anche la vecchia in panne. Il giorno stava per finire. Di nuovo il sole iniziò la discesa notturna. Il tramonto era bellissimo ed infuocato e i colori cambiavano con una velocità incredibile. Ognuno si preparò per passare la notte, sperando che veramente era l'ultima notte sul treno che aveva dimenticato che ci doveva portare a Bamako. Era quasi l'alba, il treno ridusse la velocità. Stavamo ad avvicinarsi alla capitale. Si notava che il convoglio arrancava e che la motrice non aveva sufficiente forza per scavalcare l'ultimo ostacolo che si parava davanti: una pendenza delle rotaie un po troppo forte per quella stanca locomotiva. Si fermò del tutto. Albeggiava. Piano piano inizio a retrocedere. Non capivo il motivo. Di nuovo si fermò. I ferrovieri incitarono tutti i passeggeri a scendere dal treno ma di lasciare i loro bagagli al loro posto. La gente obbediva senza parlare. Obbedirono pure quando l'equipaggio incitò tutti in lingua Bambara a dare una spinta al treno in modo di aiutarlo a scavalcare il punto critico. E tutti ma dico tutti fecero il gesto all'unisono. Superato l'ostacolo che ci separava da Bamako, il treno ridusse la velocità per permettere a tutti di saltare di nuovo a bordo. Molti arrancarono e ci riuscirono. Altri più deboli ci rinunciarono. Ma parevano rassegnati non arrabbiati. In ogni caso la capitale non era poi così lontana ed avrebbero recuperato i loro bagagli dentro la stazione. La distanza tra Kayes e Bamako e di poco sopra i 450 km e ci abbiamo impiegato quasi due giorni e due notti.
In queste latitudini non conta il tempo impiegato per viaggiare, l'importante è arrivare...come e quando...non ha importanza.
 
 

We arrived early in the morning at Kita station; the temperature was rising together with the sun. I was feeling dirty, hot and hungry. The station, like everywhere else, was full of goods sellers; a young woman was sitting nearby; she got an ice-box full of half litre plastic bags of cold water good for drinking and I bought all the contents of the ice-box to wash my dirty body.

Kita station is situated in the middle of the bush; the vegetation was very poor.

Dust was present everywhere; people and animals walking they were raising the dust and my nose was full of it and my throat was dry too. After the unexpected shower, I felt much better and I was thinking of having breakfast; I saw some papaya and I bought a big one for half price. The sun started to be at its hottest, a lot of people were walking around the train and I didn't see any preparation for the departure. As time went by, my worry grew and I decided to find out if something wrong had happened. I spoke to the station master and he told me that the locomotive's engine had broken down; when he saw me angry he told me not to worry because another locomotive should be there very soon, and to be more convincing he said that the radio operator was in contact with Bamako. I tried to keep calm. The train ride was becoming too long and too tiring. I found a shady place from where I could see my car. At eleven o'clock nothing had happened. All the people, the passengers, the station staff were as calm as if the broken locomotive problem was somebody else's. This is Africa. C’ est l’ Afrique The value of time is not the same as in Europe. The most important thing was to arrive at Bamako but when and how wasn't their problem.

Later on, I heard a hoot, a locomotive arrived at the station. All the passengers moved slowly to get onto the wagons or well to the platforms; they were moving slowly because the weather was so hot, it was siesta time and going into the wagons was like to go into an oven. My drinkable water was very hot and when I tried to drink, the water temperature was disgusting. For lunch I ate one tin of tuna fish and one tin of sardines; this kind of food was making me thirstier because it was a salty. After more or less forty minutes, the train started. The average speed was reduced because the new locomotive had pull the old one. Night came and everybody tried to find a good position to sleep. Early in the morning we were not too far from Bamako: somebody said that in one hour's time we could arrive at destination. The train reduced the speed. The diesel locomotive tried to climb a hill, but it hadn't enough power to get up until it stopped. The train started slowly slowly to back as far as the horizontal railway and it stopped again. The train crew told all the passengers to get down from the wagons or well away from the platforms and they invited us to leave the baggage on. All the people were so calm and everybody obeyed the train crew when they also proposed to push the train all together to help him to reach the hilltop . The locomotive driver started to run with a very low load; I could see all the passengers push the train and it managed to pass the critical site very easily. At that moment, the locomotive reduced speed to allow the passengers to get on. But it was impossible for everybody to get on, specially for the old people; they seemed not to be worried, anyway Bamako wasn't too far. The distance from Kayes to Bamako was 450 km and the train took about two days and two nights . Time doesn't matter, it is more important to arrive.....how and when....

Gianni De Angelis. Ricordi Africani


 

sabato 10 febbraio 2007

Da Kayes a Bamakò in treno (2° parte) - De Kayes a Bamako en train -


 
 La Land Rover caricata sulla piattaforma


 Alla stazione di Kayes incontrai un residente francese il quale mi consiglio di non lasciare incustodita l'auto. Del treno da Dakar nessuna notizia. Aspettai fiducioso ma a lungo, infatti il treno arrivò il giorno dopo. Dormii dentro la Land Rover, ma fu quasi impossibile riposare bene per il troppo caldo.
Finalmente arrivò il treno da Dakar ed i ferrovieri spinsero letteralmente, con la forza delle loro braccia, la piattaforma per attaccarla al convoglio. Il tempo passava e niente si muoveva. Chiesi notizie in giro. Aspettavamo un altro treno che veniva da Bamako con la nuova squadra di macchinisti maliani, poichè l'attuale era senegalese. Per fortuna che la stazione era piena di venditori e si poteva comperare ogni cosa come frutta, polli, profumi, dolci, magliette ed acqua fresca ma non idonea per il mio stomaco. Il luogo era molto animato e rumoroso esattamente come un mercato. Finalmente il treno da Bamako arrivò in stazione. Dopo circa una ora vidi che tutti i venditori ambulanti lasciavano liberi gli spazi intorno al treno e ciò significava che stavamo per partire. Era ormai il tramonto. Il sole ancora una volta si scavava la sua tana all'orizzonte. Finalmente il treno si mosse e partimmo. La velocità non superava i 50 km ora. Nelle carrozze passeggeri non vi era sufficiente posto ed alcune persone presero posto sulla mia piattaforma che era abbastanza capiente. L'aria era calda. Fu quasi impossibile chiudere occhio per riposare. Venne il controllore a chiedermi i biglietti che esaminò con cura. Anche i passeggeri che stavano sdraiati sulla piattaforma furono oggetto di controllo. Vidi alcune persone che cercavano di nascondersi sotto la mia auto. Capii che qualcuno era senza biglietto e quindi cercava di sfuggire ai controlli. Il controllore agiva con cattiveria. Quando prendeva un povero cristo senza biglietto, prima gli chiedeva la somma dovuta, se costui non aveva di che pagare allora cercava di spingerlo giù dal treno. Seguitò ancora a strillare, ma poi giunse una calma surreale. Era tardi e tutti erano stanchi. Con la notte la temperatura si fece più sopportabile. La notte era completamente buia, non c'era uno spicchio di luna in cielo, solamente miliardi di puntini luminosi. Tutti si prepararono per cercare di dormire un po. Arrivammo alla stazione di Kita. Una piccola cittadina lungo la ferrovia. Naturalmente il treno fu preso d'assalto dai soliti venditori. Dopo una trentina di minuti il treno ripartì. Ma con mia grande sorpresa comincio' a rallentare fino a fermarsi completamente. Speravo che non fosse un guasto. Il treno iniziò piano piano a fare marcia indietro fino ad entrare di nuovo nella stazione appena lasciata. Ma che era successo? Qualcuno aveva fatto i segnali prestabiliti con una lampada tascabile al conduttore del treno, che naturalmente partì. Ma lasciammo il controllore "cattivo" a terra; così la marcia indietro era per recuperarlo. Una volta a bordo iniziò a strillare contro tutti in lingua Bambara. Era arrabbiatissimo. Sputi e saliva uscivano dalla sua bocca mentre urlava. Masticava la kola. Qualche passeggero ci rise sopra per il brutto scherzo giocatogli. Poi tutto si calmò ed il treno proseguì la sua lenta corsa notturna verso la capitale.

At the station I met a French person who told me not to leave the Land Rover alone because the place was full of thieves. Briefly I spent one day and a half at the station, eating and sleeping in the car. The weather was so hot that it was impossible to sleep during the night. I forget what I did for the toilet. Finally, the train arrived before evening. The railway people pushed my platform by hand and they attached it to the last goods wagon, and I was so happy; but the time passed and nothing happened. So I decided to check around to see what was going on. Somebody said that another train would come from Bamako, and the Malian crew would drive this train to Bamako.

The station was full of sellers; it was possible to buy everything, fruit, perfumes, chickens, cold water (good only for Africans), sweets, t-shirts. The place was so noisy and animated, like a market; before nightfall, the other train arrived at Kayes station. After one hour's waiting, I finally saw the sellers leave and the train started to run to Bamako. The train was made up of different passenger and goods wagons. The average speed per hour was about 30 km. On the passenger wagons the seats for all the people weren't insufficient; so some passengers came to take a place on my platform. I tried to spend the night eating fruit and sleeping with one eye open. Later on, the ticket collector came by and started asking train tickets to the passengers. I saw some people going under my car and somebody else going around my car not to seen by the ticket collector. I didn't understand what was going on; somebody saw me a little astonished, so he told me that some passengers were without tickets. The ticket collector was very nasty with those people; when he caught one of them, first he asked to be paid for the ticket and if the passenger couldn't pay his ticket, the man started to scream; I saw the ticket collector try to push the people without tickets out of the train. The ticket collector stopped to deal with the people without tickets and he said that at the next station he would call the police. An unforeseen calm came. It was only possible to hear the noise made by the train wheels running on the rails. The temperature was more tolerable. The darkness was so deep; no moon in the sky; I was thinking that on so dark a night it was  impossible see somebody or something: well, the night was so dark and the African people too....( it is not a matter of racism... it is only an ascertainment ). A light breeze came and everybody made preparations to spend the night. After a few hours, my attention was attracted by excited activity; some hoots came from the train's locomotive. Somebody said that in a few minutes we were going into Tintibà station. From the roof of my car I saw some red or white car headlights. The train finally stopped at the station. A lot of people were around. The station wasn't illuminated; only the goods sellers had an oil lamp. People got down from the train, people got on. I didn't see the ticket collector, but I saw people running away very fast from the platform where I was. A lot of passengers switched on their battery lamps. I bought oranges just to try to soothe my thirst, without bargaining (the bargaining is so common in Africa: if somebody doesn't bargain one is judged by the sellers not to be a very good buyer). The train suddenly started to move. Some sellers walked near the wagons to get the money from the passengers who had bought merchandise. After a few kilometres, the train stopped in the middle of the bush without an apparent reason. I saw somebody get down from one of the first wagons; in effect I saw a pocket lamp move; I supposed that it was somebody with the lamp. the man was walking in the direction of the end of the train; it stopped every now and then near the wagons. In the end, I understood that we had left the ticket collector at Baguineda station. Somebody made the right signal with his pocket lamp and the train driver understood it like the good one's done by the signalman. By the way, the train started to go back to Tintibà station to pick-up the ticket collector. I was thinking in my mind that only in Africa can something like that happen. In fact the ticket collector was there at the station waiting for the train to come back. He got on my platform and he started screaming in the Bambara language. Finally, the train set off again on its way towards Bamako. All the passengers turned off their pocket lamps, and everybody tried to find a good position to spend the rest of the night. The ticket collector disappeared. Nothing else important happened until morning.

venerdì 9 febbraio 2007

Da Kayes a Bamakò in treno (1 parte) - De Kayes à Bamako en train





La stazione di Kayes. La gare de Kayes. The Kayes station.

Il Mali è una dei più estesi Paesi Africani. Non ha accesso al mare. Ho visitato questo Paese più volte, sia per lavoro che per turismo, ma mai dimenticherò quel lungo viaggio in treno da Kayes, una cittadina ai confini con il Senegal, fino a Bamako. La motrice diesel e i vagoni che componevano il treno erano in pessime condizioni, sia per la loro vecchiaia che per la mancanza di manutenzione. Per raggiungere Bamako esisteva una pista in terra che in qualche tratto era veramente disastrosa. Decisi a quel punto di caricare la mia Land Rover sul treno. Era in marzo uno dei mesi più caldi in Mali. La temperatura può raggiungere facilmente i 50°. Quando andai alla stazione per chiedere informazioni per poter caricare l'auto sul prossimo treno diretto a Bamako, tutto sembrava filare liscio senza alcun problema. Dopo aver pagato il biglietto, chiesi al personale della stazione di Kayes quando prevedevano di poter caricare la mia auto sulla piattaforma in tempo per prendere il prossimo treno. Mi risposero che la piattaforma era già disponibile in stazione ma che il treno non sarebbe arrivato dal Senegal che l'indomani. Il prezzo del biglietto comprendeva anche il costo del carico e della legatura dell'auto, ma il personale addetto non si preoccupò più di tanto e chiamarono una squadra esterna per compiere questa operazione. Dopo circa più o meno un'ora di discussioni, accettai per una somma non troppo onerosa per me. Finalmente l' auto fu caricata sulla piattaforma in attesa del treno proveniente da Dakar. (prima parte).
 

Mali is one of the biggest nations in Africa, and it has no access to the sea. I've been there many times, but I'll never forget the time when I travelled by train from Kayes, a dusty town near the Senegalese border, to Bamako, Mali's capital.

The track was in very bad condition and longer than the railway. So I decided to load my Land Rover on the train. It was in March, the hottest month in that area of Africa: the temperature can easily reach 50 degrees centigrade. When I went to the station to book a place for my car on the next train to Bamako, everything seemed so easy. I paid my train ticket and I asked them when they were going to load my car on the platform and the time of departure for Bamako. They said that the platform was already on the station but the train could be on the day after , coming from Dakar. The loading and the tying of the Land Rover wasn't included in the train ticket, and the railway people didn't take care of it; they called somebody else for this kind of job. After more or less one hour's discussion, we agreed on a lump-sum. Finally, my car was loaded on the platform, waiting for the train from Dakar. 

mercoledì 7 febbraio 2007

La mosca tsé tsé - La mouche tzè tzè - The tsètsè fly





Foresta del Mali lungo il fiume Bani.
Foret au Mali a long le fleuve Bani.

Esistono in Africa sconfinati territori ancora tutti da scoprire. Non ci sono piste per arrivarci, ma solo sentieri. In una di queste fitte boscaglie, al sud del Mali, verso il fiume Banì, ho rischiato di beccarmi la cosiddetta "malattia del sonno". Come al solito, sembra che si faccia di proposito a scegliere sempre i momenti peggiori per lavorare in Africa. Ed anche quella volta mi capitò la missione in Mali, per conto della Cooperazione Italiana, nel mese più caldo dell'anno: aprile.
Dovevo trovare almeno tre siti, lungo il fiume Banì, idonei per costruirci una diga per produrre energia elettrica e per usi irrigui. Avevo con me solo foto aeree al 10.000  un po datate, ma in questo caso nuove o vecchie aveva poca importanza. Rari i villaggi che incontravo. Mi accompagnava una guida e l'autista del vecchio fuoristrada. Le piste erano idonee alle biciclette, ai motorini ed ai piccoli carretti tirati dai somari. Per una automobile, anche se un4x4 era molto difficile addentrarsi lungo  sentieri semi tracciati;  la possibilità di perdersi o di rimanere incastrati tra gli alberi era altissima. Trovai a Bamako delle carte al 200.000 ma mi erano di pochissimo aiuto.La foresta era rigogliosa e piena di vita. Alberi di ogni tipo si allungavano verso il cielo in cerca di spazio e di luce. Scimmie, facoceri, faraone, gallinelle, piccole gazzelle ci tagliavano il cammino sovente. Mi sembrava di essere un intruso in quel santuario della natura, dove il solo parlare era stonato, figuriamoci il rumore del motore della mia Land Rover. Ogni volta che incontravamo un villaggio era un pò un trauma. I vecchi ed i bambini non avevano mai visto una automobile. Da lontano, quando sentivano il rumore del motore, si andavano a nascondere. Solo quelli che si erano avventurati fino alla strada principale rimanevano nei dintorni. Dopo i soliti convenevoli, le strette di decine di mani, saluti ripetuti più volte, venivamo "accettati" dal capo villaggio e si poteva cominciare a parlare di lavoro. Solo allora quelli più audaci uscivano dai loro nascondigli ed iniziavano curiose ispezioni a noi e alla Land Rover. Toccavano tutto: un ragazzo infilò il dito dentro il tubo di scarico rovente e scappò strillando sotto le risati di tutti. Donne coraggiose si interessavano ai miei capelli bruciati dal sole, sorridevano soddisfatte e si scambiavano opinioni. Ci venivano offerte noccioline, frutta della foresta ed acqua da bere. Rifiutavo sempre l'acqua con modi garbati per i ben noti motivi. Ero completamente all'oscuro che queste zone erano colpite dalla "malattia del sonno". Vedevo spesso individui molto magri, adagiati in terra vicino la porta della loro capanna; il loro sguardo era assente. Le mosche vengono attratte da mezzi in movimento e dai vestiti colorati. Infatti mi ritrovai, durante uno spostamento, l'abitacolo della mia Land Rover, completamente pieno di questi insetti. Fui ripetutamente punto sulla schiena nuda (non portavo mai la camicia per il troppo caldo). L'autista e la guida mi misero in guardia da queste mosche pericolose. Riuscimmo a catturarne una decina che misi in una bustina di plastica dopo che la guida mi disse che era la famosa mosca tze tze.
Lasciai la zona in fretta e a tappe forzate arrivai a Bougounì il paese più vicino. Andai al "dispensaire" mostrando loro il sacchetto e mi confermarono che effettivamente si trattava di mosche della malattia del sonno. Mi spiegarono gli effetti catastrofici che provocano le punture di questi insetti, ed ero preoccupato. Durante la notte, al "campement" di Bougounì, mi assalì una tremenda ansia; non riuscivo a dormire. Passai  la notte in bianco pensando a quanto mi disse il giorno prima il dottore sulle possibilità di ammalarmi e sugli effetti devastanti della malattia. Decisi di rientrare a Bamako. Al Centro Medico Francese mi confermarono che si trattava proprio di tsè tsè.
Ispezionarono completamente la mia pelle per trovare eventuali rigonfiamenti rossastri e dolorosi. Mi dissero che questi aspetti si manifestano dopo circa 10-20 giorni dalla puntura da parte della mosca. Quindi per il mio caso era un pò troppo presto. Non trovandomi niente di sospetto, mi consigliarono di andare a Paris all'Istituto Pasteur. Mi elencarono tutti i sintomi che caratterizzano la malattia come febbre, mal di testa, tremori, abbassamento della soglia del dolore, tachicardia, eventuali rigonfiamenti delle cellule cervicali, alterazione delle funzionalità del fegato. L'evoluzione è lenta e progressiva. Al dimagrimento fisico si accompagnano sintomi psichici come l'alterazione del ritmo sonno-veglia. Da Bamako mi fissarono un appuntamento a Paris. C'era una equipe di specialisti ad aspettarmi. Tutti curiosi di sapere. Impaurito dell'inaspettato ricevimento, stringevo in mano il mio sacchettino di preziose mosche che tutti volevano vedere. Mi portarono in una stanza dove c'era solo un letto. Rimase con me un giovane dottore della mia età. Ci scambiammo qualche frase, ma no più di tanto. Domandai dove potevo trovare una toilette. Lungo il corridoio vidi un cartello: sortie de secours. Si svolse tutto in un lampo. Imboccai le scale che feci a passo di corsa e mi ritrovai fuori dal fabbricato. Libero di andarmene. Ancora mi staranno ad aspettare all'Istituto Pasteur. A Roma la voce della mia disavventura arrivò al  mio datore di lavoro che subito mi indirizzò da un suo amico dottore per un controllo. Dopo una accurata visita, mi consigliò di ritornare subito da lui se avevo qualche sospetto o nel caso si manifestassero sintomi della malattia.
Sono ancora qui a scrivere. Il sacchetto delle mosche finì nella pattumiera. Mi è rimasto il ricordo di un brutto episodio, ma non più di tanto,  che va scemando con il passare degli anni. Incoscienza? No gioventù.

martedì 6 febbraio 2007

La prima volta in Mali - La première fois au Mali -



 Veduta dell'interno del Grand Marchè.

 Le Grand Marchè.





 La vecchia sede del museo.

 Il Grand Hotel ristrutturato di recente.

Arrivai a Bamakò in aereo via Parigi. Era il mese di aprile, il più caldo dell'anno, di tanti anni fà. Si faceva scalo ancora al vecchio aeroporto, alla periferia della città; Al suo posto sono cresciuti come funghi, centri commerciali, palazzi, ville, alberghi. Rimasi senza fiato quando toccai l'asfalto infuocato. Faceva talmente caldo che era difficile respirare. Sentii letteralmente salire il calore della bollente pista dai miei piedi che risaliva lungo tutto il mio corpo. Il sole picchiava forte. L'aria era satura di polvere. Ogni cosa che toccavo era calda. Tutto mi sembrava disordinato e abbandonato. Mi venne a prendere Pampaloni con una vecchia Land Rover gialla open top e mi portò al migliore hotel della città il Grand Hotel. Assomigliava più ad una caserma che ad un albergo. Larghi corridoi bui, ampi finestroni che a stenti stavano in piedi. Stanzoni fuori misura. Letti simili ad amache. Gli stravecchi condizionatori russi, facevano un rumore assordante di ferraglia. Le strade era affollate di gente in condizioni miserevoli: mendicanti, lebbrosi, ciechi. La città dava una impressione di abbandono. Costruzioni scalcinate. Pochissime strade asfaltate e piene di buche. Sporcizia in ogni angolo. Spazzatura mai raccolta. Carcasse di auto e di camion ovunque. Le fogne erano tutte a cielo aperto ed emanavano una puzza terribile che si mescolava con l'odore della carne arrostita. Il mio primo impatto con Bamakò ed il Mali non fù dei più felici.

sabato 20 gennaio 2007

Artigianato locale, Artisanat local, Local handcraft.


Lucidatori di "Bazin" all'opera.


  Sartoria "ambulante". Couturier ambulant.


Scope, mestoli e calebasse. Balais, louches et plats en calabasse.


 Oggetti in pelle. Objets en cuir et peaux de serpents.


 Lavorazione di oggetti in oro. Objets en or. Gold handcraft.


Lamiera reciclata in utensili domestici. 
 Tôle recyclée pour la fabrication d'ustensiles de cuisine.
 Recycling metal sheet.

 Esposizione di diversi oggetti di artigianato. Artisanat divers.


Mobili. Meubles. Furnitures.

 Terrecotte di Mopti. Terre cuite de Mopti. Mopti terracotta.

Collanine. Colliers. Neckless.


Oggetti in paglia intrecciata. Objets en osier.

Non si finisce mai di scoprire qualcosa di nuovo a Bamakò. Si trova sempre un artigiano che crea nuovi oggetti. Ogni materiale viene lavorato: legno, argento, oro, pellame, tessuti, cotone, ferro, lamiera, paglia, argilla, e dalle mani esperte di tantissimi artigiani escono oggetti, utensili, monili, vestiti, accessori per l'abbigliamento. Mi diverte girare per le piccole viuzze dove tutto si svolge nel bel mezzo della strada: si lavora, si vende la mercanzia, si chiacchiera, si mangia, si fanno affari... i locali servono da depositi. Il tutto sembra così stretto, soffocante ma mai aggressivo. Dopo un po di tempo, ci si ritrova a proprio agio; non si viene disturbati; i venditori ambulanti propongono la loro mercanzia quasi con modi dimessi mai arroganti.

martedì 16 gennaio 2007

La ex base della Cooperazione Italiana, L'ex base de la Coopération Italienne, The old base of the Italian Cooperation



Pompa montata dalla Cooperazione Italiana in panne da anni. A dieci metri La Cooperazione Giapponese ha perforato un altro pozzo...non poteva riparare la pompa in panne del pozzo perforato dalla Cooperazione Italiana...che spreco di denaro. Nel villaggio esistono in totale tre pozzi perforati dall' Italia ed a fianco altri tre pozzi dal Giappone, per 1000 abitanti. Poi nella savana la gente muore di sete poiché non esistono pozzi. Strano comportamento dei Donatori e dei Beneficiari che insieme scelgono la via da seguire.
Pompe installée par la Coopération Italienne en panne depuis de nombreuses années.

Base della Cooperazione Italiana, particolare delle abitazioni.
Les maisons.
 Panorama della base in piena attività. Vue sur la base en pleine activité.

Fiat Campagnola 4X4 rottamate. Fiat Campagnola démolies.

 Tutto è stato spianato. Tout à été rasé.

 Sonda di perforazione pozzi, la numero 3.2 è stata completamente smantellata.
La sonde 3.2 démolie.


E' stata veramente una stretta al cuore. Non immaginavo mai che il fiore all'occhiello della Cooperazione Italiana degli anni '90 era stata ridotta ad un cimitero di rottami. Ce ne siamo andati: ecco il risultato. Eppure si. E' quello che hanno visto i miei occhi increduli, é che ancora non é stato degerito del tutto.
Di sano c'é rimasto solo il muro perimetrale, il serbatoio dell'acqua potabile e il capannone metallico che ospitava l'officina meccanica. Piano piano mi sono ripreso, sono arrivati dal villaggio vicino i miei ex collaboratori ancora rimasti: alcuni sono partiti in cerca di fortuna altrove ed altri sono gia' passati a miglior vita. Tutti hanno voluto raccontarmi il loro dolore. Magono' l'autista dell'Iveco 300, paralizzato e poi deceduto; Guindo, guardiano, ex militare, aveva combattuto in Indocina con i francesi; Seydou , il giardiniere; Diarrà, l' elettrauto. Mory non ha più trovato un lavoro come autista e adesso fà il guardiano. Sebastien, il cuoco.
Tutto é stato portato altrove, come i camion, le automobili, i gruppi elettrogeni, i pezzi di ricambio, tutte le attrezzature dell' officina, le arredi delle abitazioni e degli uffici. Le case sono state distrutte parte dai vandali e parte dall' abbandono. Attualmente al suo interno sono ben esposti, vicino all'ingresso, tutti i rottami di automezzi di proprietà della EDM (Energie Du Mali). Qualcuno, a Bamako, mi ha detto se avevo visto tutte le carcasse dei mezzi lasciati dagli Italiani...(non mi sembra giusto). Pazienza. C' est l' Afrique.

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J’ai vraiment eu un pincement au cœur. Je n’imaginais pas que cette belle réalisation de la Coopération italienne fut réduite en un cimetière. Et pourtant, c’est bien ce que j’ai vu et je ne l’ai pas encore digéré. Seul, le mur d’enceinte est resté debout ainsi que le château d’eau et le hangar qui abritait le garage et la carrosserie. Tout a été démonté et emporté : les groupes électrogènes, l’outillage, les maisons et les bureaux préfabriqués ainsi que l’ameublement qu’ils contenaient. De tous les véhicules, seules restent quelques carcasses. A Bamako, quelqu’un a prétendu que c’étaient les italiens qui avaient laissé les carcasses. Je trouve cela fort injuste…. mais c’est l’Afrique.
Peu à peu, du village voisin sont arrivés quelques anciens collaborateurs. Tous m’ont donné des nouvelles des uns et des autres : Magono, le chauffeur de l’Iveco 300. Guindo et Seydou, les jardiniers. Diarra, l’électricien auto. Mory le chauffeur du minibus. Sébastien le cuisinier.

giovedì 4 gennaio 2007

Bamako



Strada dell'aeroporto "Arco di benvenuto". I tre caimani a destra sono il simbolo della città.
Sur la route venant de l’aéroport, l’Arcade de Bienvenue. A droite, les trois caïmans représentent le symbole de la ville.
Vista di un quartiere di Bamakò dall'Hotel de l'Amitiè.
Vue sur un quartier de Bamako depuis l’Hôtel de l’Amitié.


Arance. Oranges. Oranges.


 La collina di Kouloubà vista dall'Hotel dell'Amitiè.
Vue sur la colline de Koulouba depuis l’Hôtel de l’Amitié.


Nuove moderne strade. Nouvelles routes.




Il mercato di Dibidà. Le marché de Dibida. Dibida market.

 Monumento ai "cauri" . Monument représentant une cauris.



Monumento alla Casta dei Cacciatori. Monument dédié aux Chasseurs.

Il palazzo della Banca Centrale Africana.
Le bâtiment de la Banque Centrale Africaine.


Questa è la piazza del mercato. Il fabbricato ha preso fuoco più volte ma è stato sempre ricostruito. L'ultima volta nel 1993. Questo mercato pare che sia uno dei più importanti dell'Africa Occidentale. Bamako è una tipica città africana estesa e ombreggiata, alla quale la falesia rocciosa e le rive del fiume Niger formano un quadro suggestivo tipico della regione. Bamako significa, in lingua Bambarà, "il fiume del coccodrillo". E' un intero mercato dove tutto si vende e si compera. I prodotti alimentari sono esposti da un lato, le scarpe e i vestiti al di là della strada. La benzina viene pure venduta a bottiglie, depositate su appositi banchetti. Anche l'olio motore esausto viene esposto. Le sigarette si possono comperare all'unità. Tutto viene reciclato. Le vecchie lamiere delle auto diventano utensili da cucina, secchi, coperchi, pentolame. Dalle balestre dei camion si ottengono coltelli, lame per aratri, lance, machete.
L'occupazione francese ha impresso un piano urbanistico all'europea e tutti i fabbricati amministrativi sono di stile coloniale che danno una impronta di antichità piena di charme.
I preparativi per la mia partenza sono frenetici: regali per i vecchi amici, una nuova macchina fotografica Nikon D40; ho provato i telefoni satellitari utilissimi in zone remote; l'entusiasmo di ritrovare una città dove ho passato tanto tempo della mia vita. I locali dove si mangia una cucina semplice ma buona, a base di riso e di miglio con carne o pesce; le salse molto speziate di gombo, d'aglio, di cipolle, e dove la musica trascina tutti, africani ed europei. I quartieri brulicano di artigiani bravissimi nel lavorare il legno, il cuoio, l'argento, l'oro, le stoffe, il ferro, la paglia, dove si passano delle ore ad ammirare gli oggetti più disparati. C'è un artigianato molto fiorente. Lungo le strade si sente l'eterno odore del capretto arrostito, cotto e mangiato all'istante. Gli odori del cucinato si mischiano con quello puzzolente che proviene dai lati delle strade dove passano le fogne a cielo aperto. La mia valigia sarà colma di indumenti da regalare ai poveri; e credetemi di povera gente il Mali nè è pieno. Una domanda viene spontanea: ma che fine fanno gli introiti dell'oro? Il Mali è il terzo produttore di oro in Africa...mistero.

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Bamako, dont le nom signifie en bambara « le fleuve du crocodile », se trouve sur les rives du Niger. Les bâtiments administratifs de style colonial construits pendant la colonisation française donnent beaucoup de charme à la ville.
Le Marché central de Bamako a été reconstruit après sa destruction lors d’un incendie en 1993.