lunedì 24 dicembre 2007

Kansay e Michele. Kansay et Michele. Kansay and Michele.



Kansay Alemu.

Mario Michele.

Durante la mia permanenza a Macallé, si presentò a casa un anziano signore etiope. Aveva in mano una lettera scritta in un inglese, alquanto difficile da comprendere. Chiedeva aiuto a dei suoi connazionali, poiché Michele è figlio del Signor Mario di Napoli che durante l'occupazione dell'Etiopia era al seguito delle truppe italiane. Trovò Macallé accogliente e vi aprì un ristorante chiamato "Angolino" nella Piazza Hawsien. Si sposò con una signora etiope e nacque Michele. Nel 1941, con l' arrivo degli Inglesi, Mario fuggì lasciando la famiglia ed il ristorante. Aveva comperato terreni e case che lasciò a sua moglie. Non si sentì più parlare di lui e neanche si fece più vivo a Macallé. Michele e sua mamma vivevano discretamente fino al giorno che Menghistu non confiscò loro ogni avere. La casa, dove oggi sorge la sede centrale della Commercial Bank di Macallé, fù bruciata dai soldati del dittatore poiché la mamma di Michele non voleva andarsene con le buone maniere. E con la casa bruciarono anche i documenti cartacei che ricordavano il breve passaggio di Mario il Napoletano in Etiopia di cui nessuno nè conosce il cognome. Michele ha sempre lavorato in un mulino. Ha respirato per tutta la sua vita la malsana polvere dei cereali. E' ammalato ai polmoni. Ha una famiglia da mantenere ed una graziosa bimba di 10 anni che va a scuola, per fortuna. La moglie è deceduta qualche anno fà. Non riceve alcuna pensione ne aiuto alcuno. Vive in una misera capanna senza elettricità, né acqua e servizi. Ho fatto per loro quello che ho potuto. Ancora ricordo il suo sguardo triste quasi da cane bastonato. Tramite lui ho avuto la fortuna di incontrare Kansay che era amico di suo padre.

Trovai Kansay nella sua casa, disteso sul letto. Non ha più la forza per alzarsi. E' ammalato di diabete. L'estremità dei suoi piedi stanno andando alla malora. E' magro Kansay, quasi novantenne, ma il suo viso si è riempito di gioia quando ci siamo messi a parlare in italiano. Mi ha raccontato la sua vita con i soldati ed i civili Italiani. I suoi occhi erano lucidi e più di una volta ha passato un strausato fazzoletto per asciugarsi qualche lacrima. Parlando, il suo italiano diventava più spedito ed i ricordi si facevano più vicini. 50 lire ebbe di premio dal preside della scuola italiana di Macallé per la sua bravura. I pomeriggi passati con Mario al ristorante "Angolino". Quando poteva andava a curiosare presso l'unico ospedale italiano civile di Macallè dove il Dr. Musso gli passava la mano sui suoi capelli crespi. Gli chiesi se sapeva qualcosa a proposito dell'avvelenamento del lago Ashanghi (verso sud, non troppo lontano da Macallé) da parte delle truppe italiane in fuga. Risposta negativa, non aveva mai sentito parlare di questo "avvelenamento" (tanto in voga presso alcuni gruppi non più presenti a Macallé). Ricordi, tanti meravigliosi ricordi raccontati con passione. Mai una parola di astio, anzi al contrario. Vennero tempi duri per gli Italiani. Kansay si trovava a Quihà, presso l' ospedale militare italiano al momento della ritirata delle truppe di Mussolini. I militari dicevano agli Etiopici di prendere qualsiasi cosa, poiché tra poco sarebbero arrivati gli Inglesi i quali avrebbero rastrellato tutto, anche i chiodi. Kansay domandò il permesso di portarsi via un letto per sua madre. Si presentò a casa sotto il peso di un letto metallico bianco dono dei militari italiani in fuga. Mi ha detto che ancora questo letto esiste da qualche parte. Povero Kansay, memoria vivente, senza rancore alcuno. Chissà se lo rivedrò ancora.

During my stay in Macallé, an old Ethiopian man came to my house. He had a letter written in English and very difficult to understand. It asked for help for his countrymen, since Michele is the son of Mr. Mario from Naples who during the occupation in Ethiopia was part of the Italian troops. He thought Macallé was inviting and he opened a restaurant called " Angolino" in Hawsien Square. He married an Ethiopian woman and Michele was born. In 1941, upon the arrival of the English, Mario fled, leaving behind the family and the restaurant. He had bought land and houses that he left to his wife. No one ever heard from him or did he ever show up again in Macallé. Michele and his mother lived fairly well until the day that Menghtsu confiscated all their possessions. THe house, where the Commercial Bank of Macallé now stands, was burned by soldiers of the dictator since Michele's mother did not want to leave without a battle. And with the house, all the paper documents burned that were reminders of the short time that Mario, the Neopolitan was in Ethiopia: nobody even knew his surname. Michele had always worked in a mill. He has always breathed the unhealthy grainy dust. His lungs are sick. He has a family to maintain and a sweet little 10 year old girl who fortunately goes to school. His wife died a few years ago. He doesn't receive a pension or any financial assistance. He lives is a poor hut without any electricity, water or a sanitary structure. I did what I could for them. I still recall his sad expression, almost like a beaten dog. Though him, I had the fortune to meet Kansay who was a friend of his father.
I found Kansay in his house, lying in his bed. He does not have the energy to get up and suffers from diabetes. The extremities of his feet are deteriorating. Kansay is very thain, almost ninity years old, but his face lit up when we started to speak Italian. He told me the story of his life with the Italian soldiers and civilians. His eyes were shiny and more than once he dried his eyes with an old used handkerchief. His Italian became better by talking and his memories became more vivid. He recevied 50 Lire as a prize from the principal of the Italian school in Macallé for his skills. He remembered the afternoons spent with Mario in the " Angolino" restaurant. When he could, he would go to the only Italian civil hospital of Macallé where Dr. Mussop would pat his head of curly hair. I asked him if knew anything about the poisoning of AShanghi Lake ( toward the South, not far from Macallé) by the fleeing Italian troops. He said he knew nothing about this "poisoning" (very in vogue by some groups that were no longer in Macallé). Memories, a lot of wonderful memories recounted passionately. Never a mean word, quite the contrary. When the difficult times came for the Italians, Kansay was in Quihà at the Italian military hospital when Mussolini's troops withdrew. The military told the Ethiopians to take whatever they could, since the English would be arriving soon and would have taken evething, down to the last nail. Kansay asked permission to take a bed for his mother. He went back home with a heavy white metallic bed donated by the fleeing Italian military. He told me that this bed is still around somewhere. Poor Kansay, a living memory, without hard feelings. Who knows if I'll ever see him again?