lunedì 30 aprile 2007

Falascià, ebrei etiopi. Falasha, le peuple juif ethiopien. Falascia' Jewish community of Ethiopia.





A nord di Gondar, sulla strada per Sciré, c' è la comunità dei Falascià o Falàsha popolazione dell'Etiopia settentrionale stanziata tra il Semien e il Lago Tana, il cui nome attuale Falasa o Falasha, emigrato , esiliato, è stato dato loro dagli Amhara. I Falascià rappresentavano i residui di genti cuscitiche probabilmente originarie dell'ovest dell'Altopiano Etiopico; non si conosce il loro nome etnico.
Nel 1984 iniziò l'esodo volontario dei Falascià verso Israele. Attraverso marce di centinaia di chilometri essi raggiungevano appositi campi in Sudan per essere imbarcati in aerei che li avrebbero portati nello Stato Ebraico.
Con un gigantesco ponte aereo, 18.000 Ebrei d'Africa venivano trasportati, tra il 24 e il 25 maggio 1991, nella Terra Promessa.

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Les Falachas ou Falashas, ou Beta Israël sont les Juifs d'Éthiopie. 
Falasha signifie en  amharique « exilé » ou « immigrés »; rarement utilisé par les Juifs d’Éthiopie, qui emploient plutôt Beta Israël la « maison d’Israël »,  il est généralement considéré comme péjoratif. Depuis l’immigration en Israël, le terme Beta Israël tend à être remplacé, en Israël et au sein de la communauté elle-même, par « Juifs d’Éthiopie » ou plus simplement par ethiopim (« Éthiopiens »).
Les Falaschas ont une origine mal définie. Ils ont vécu pendant des siècles dans le Nord de l’Éthiopie, en particulier les provinces du Gondar et du Tigré. Après avoir bénéficié de petits États indépendants jusqu’au  XVII siècle, ils ont été conquis par l'empire d'Éthiopie, et sont devenus une minorité marginalisée, à laquelle il était interdit de posséder des terres et qui était accusée d’avoir le « mauvais œil ».
En 1975, le gouvernement israélien reconnait la judaïté des Falaschas. Ceux-ci vont alors mener une  émigration vers Israël  dans les années 1980 et 1990.

domenica 29 aprile 2007

Harar


Artigianato. Artisanat. Handcraft.

Un edificio amministrativo costruito durante la breve occupazione italiana.
An administrative building built during the Italian occupation.
Bâtiment administratif construit pendant l'occupation Italienne.


La chiesa Medhani Alem . L'église de Medhani Alem. Medhani Alem Church.



I falchi volteggiano sopra il mattatoio in attesa di resti di carne.
Les Milvus Nigrans volent au dessus de les boucheries en attendant des restes de viande.
The black kite (Milvus Nigrans) fly over the Magala Guddo, the slaughterhouse searching for meat.


Oggetti in vendita da un antiquario, in parte di origine somala.
Objets de artisanat en vente, en partie d' origine somalienne.
Objects for sale in an antique shop partly Somalian.


Lista delle malattie curabili, con l'aiuto di Dio, presso il guaritore.
La liste de les maladies curables, avec l'aide de Dieu.
The liste of the diseases treated, with the help of God.

Il palazzetto di stile indiano, che fù di Tafari Mekonnen. Attualmente al piano terra, un guaritore riceve gli ammalati.
A small Indian style house of the defunct Tafari Mekonnen. Presently, on the ground level, a heater receives patients.
Particolare del balcone.  View of the balcony.


 Macelleria. Boucherie. Meat market.


Lago Adelé. Le Lac Adelé. Adelé lake.



Un vicolo di Harar. Une rouelle de Harar. 

Una delle innumerevoli piccole moschee, ve ne sono circa un centinaio.
Dans la ville de Harar il y a une centaine des petits mosquée.
One of the many small mosques. There are about 100 in Harar.



Teff, sorgo e miglio sono i 3 cereali di base per fare l'injera ad Harar.

Contenitori in terracotta con il collo alto (aflala).
Containers in terracotta with a long bottle neck (aflala).


 L'interno di una casa tradizionale Hararina (Géy gar).
Inside a traditional house in Harar (Géy gar).


Coltivazioni di chat. Quello di Harar è reputato il migliore e va consumato entro le 24 ore dalla raccolta.
Chat cultivation. Harar's is reputed to be the best and must be consumed within 24 hours after harvesting.

Caffettiere (Jebena) in terracotta per fare il "bunna" il caffè .
Coffee maker (Jebena) in terracotta to make "bunna" coffee.


La Porta di "Assum Beri". Assum Beri Gate.


Venendo da Dire Dawa, la strada è tutta in salita in una valle selvaggia ricca di vegetazione di ginepri di media altezza, cespugli di rumex, coltivazioni a terrazza con gli argentei alberelli di chat. Una volta il chat era masticato dalle anziane persone. Oggi tutti lo masticano, compresi gli adolescenti. Pare che il chat di Harar sia reputato il migliore in commercio e va consumato entro le 24 ore dalla raccolta e da quì tra aprile e settembre, all'epoca del raccolto, parte ogni giorno per Gibuti un ponte aereo per consegnare la foglia "magica". Si sbocca poi in una lunga valle pianeggiante quasi interamente coltivata. Dinanzi appare all' improvviso il laghetto di Adelé abitato da una moltitudine di uccelli acquatici. Si arriva ad Harar situata in una bella posizione. La città è circondata da mura secolari con 5 porte originali divenute 7 nel 1890 sotto il regno di Menelik.
Nel centro della stessa cittadina c 'è una bellissima piazza circolare dalla parte si diramano le strade che raggiongono le porte. La Chiesa Ortodossa di Medhane Alem eretta da Menelik è visitabile ed all'interno ci sono conservate opere di arte religiosa. Harar é una città di antica storia ove si fondono varie razze: Somali, Arabi e Amara. Numerosi i palazzi ed edifici pubblici costruiti dagli Italiani. La Missione Cattolica fù fondata dal Cardinal Massaia nel 1846. Interessante il mercato. Lo abbiamo visitato di domenica quindi poco frequentato da commercianti ed acquirenti ma non per questo meno interessante. Abdul è una ottima guida che ci ha accompagnati per tutto il giorno. Nella cittadina vecchia, tagliata da mille viuzze, vi sono tantissime piccole moschee. E quì si trova anche la "presunta" casa di Arthur Rimbaud. Smarrirsi alla ricerca della fantomatica vera casa del "poeta folle" è uno dei passatempi più intriganti di Harar.
Un capitolo a parte meritano le numerose abitazioni tradizionali la "Géy Gar" la casa di città. Di forma rettangolare, con un tetto piatto e dove è possibile con la facciata principale rivolta verso l'est. Lo spessore dei muri in pietra, l'altezza dei soffitti, e le rare finestre, garantiscono all'interno e in tutte le stagioni una temperatura mite.

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Coming from Dire Dawa, the road is all uphill through a wild valley filled with junipers, rumex bushes, terraced cultivations with silver chat threes. At one time chat was chewed by old people. Today everyone chews it, including adolescents. It is said that chat from Harar is the best and that it must be consumed within 24 hours after it is picked. Between April and September planes leave every day for Gibuti to deliver the "magic" leaf. Suddenly the Adelé lake is seen and is inhabited by hundreds of aquatic birds. The city of Harar is surrounded by secular walls with five original gates that became seven during Menelik's reign. On the center of the city there is a pretty round square with streets that run towards the gates. The Orthodox Church called Medhane Alem was built by Menelik and inside there are many religious artworks. Harar has a history of many races: Somalians, Arabs and Amara. There are many public buildings built by Italians. The Catholic Mission was founded by Cardinal Massaia in 1846. The market is interesting: We visited it on a Sunday when it was not frequented by shopkeepers and buyers, but interesting nonetheless. Abdul is a great guide. In the old town, with its hundreds of small alleys, there are many small mosques. And this is where the presumed house of Arthur Rimbaud is located. To search for the presumed real home is one of the intriguing pastimes in Harar. There are many traditional houses (Géy gar). There are rectangular with a flat roof and where possible, the main entry is facing east. The width of the stone walls, the heigth of the ceilings and the rare windows ensure that the temperature inside the house will always be confortable.

sabato 28 aprile 2007

Dire Dawa



Il treno per Gibuti. Le train pour Gibuti.

Viale con flamboyant in fiore

Tipica casa dei primi del '900.



Buganvillea in fiore.




Piazza della Stazione Centrale.




Ragazze di religione islamica.

Ragazza Afar.



Babbuini lungo la strada aspettano un pò di cibo dagli automobilisti.

Il cestino è di moda; tutte le donne ne avevano uno.Costo al mercato: 4 birr, meno di 0.50 euro; niente buste di plastica in giro.

La città di Dire Dawa deve la sua origine alla ferrovia Gibuti - Addis Abeba. E' la stazione più importante della linea ferroviaria con depositi ed officine molto ben attrezzate. Cittadina viva e pulita. Un po francofona un po italiana per quanto riguarda la parte commerciale e residenziale. Accoglienti villette si intravedono dietro una cortina di buganvillee. Mentre la zona dei mercati assomiglia di più ad un souk. Ricca di vegetazione. Numerose le vie alberate che ombreggiano le strade. Qui il sole picchia forte.
Il flamboyant è l'albero predominante e durante la mia visita erano tutti in fiore: semplicemente stupendi nel loro colore arancione-rosso. Se vi capita di farci un giro, passate al "Family Snack" di Luigi Quartili, che affitta anche automobili. Il suo email: famelga@ethionet.et ed il mobile phone: 00251.911.622.528. Gustosi sono i succhi di frutta e la pasticceria preparati a l'Elga Cafè a pochi metri dalla Stazione Centrale.
Su spinta di amici, a cui piacciono i vecchi treni, ho fatto un interessante giro dentro al deposito delle vecchie carrozze e treni alla ricerca della famosa " Littorina". Purtroppo senza successo , non ho trovato quel cimelio che tanti amici a Roma mi avevano raccomandato di fotografare.
Il deposito è stracolmo di ferro vecchio, proveniente dallo smantellamento di treni, vagoni e carrozze, che è stato acquistato da una Ditta Indiana ed è in partenza per finire in qualche fonderia asiatica.

martedì 24 aprile 2007

Gondar, Gonder e Culqualber Passo delle Euforbie


Imperor Johannes (1667-1682), come suo padre, fece costruire numerosi edifici, i piu' importanti sono la cancelleria e la libreria, entrambi di meta' grandezza del castello di Fasilide. Yohannes era noto per essere pio e devoto e con un grande interesse per la scolarita' e per i libri in genere.
Johannes castle is one of several notable edifices in Gondar. Emperor Johannes I (1667-1682), like is father, erected a number of notable buildings, the most famous of which were a library and chancery, both about half the size of the castle of Fasilidas. Yohannes was described as very pious and devout, a man of scholarly interests who greatly loved books.



Le radici dei sicomori avvinghiano i muri perimetrali della piscina.
Sycomor roots take over the perimeter of the pool.


La piscina di Fasilide. La piscine de Fasilide. Fasilida's bath.


Chiesa di Debre Birham Sellassie. Eglise de Debre Birham Sellassie.
Church of Debre Birhan Sellassie.  Solo questa chiesa vale un viaggio in Etiopia.


Vecchio palazzo amministrativo italiano. Vieux bâtiment administratif italien.
Old Italian administrative building.




Cinema Gondar.





Panorama.

Castello di Yohannes I. Château de Yohannes I. Yohannes I's castle.

Incastonata in una bellissima cornice di montagne che la circondano, la " Camelot" africana deve il suo curioso soprannome agli innumerevoli castelli. E' la città mediovale. Era la vecchia capitale imperiale dell'Etiopia attualmente parte della Regione di Amhara. Gondar fù fondata dall'Imperatore Fasilide verso il 1635. Città famosa per i suoi castelli che ricordano il suo antico splendore. Oltre al castello di Fasilide, si possono ammirare gli altri palazzi costruiti negli anni seguenti quali: la Biblioteca di Yohannes I, il castello a forma di sella di Iyasu I, la casa del canto di Dawit III e tutti gli altri. La città di Gondar è quella che conserva le tracce più evidenti del passato coloniale italiano. Basta farsi un giro in centro, intorno alla piazza principale, su cui si affaccia l'edificio delle Poste, per capire quanto l'impronta dell'architettura fascista abbia segnato la struttura urbanistica della città.
E' stato, uno dei più rilassanti e piacevoli viaggi fatti in Etiopia.


Cenni storici:

Gondar cadde il 27 novembre del 1941 occupata dalle truppe inglesi dopo mesi di olocausto di Culqualber-Passo delle Euforbie, dove meno di 3.000 tra Carabinieri, Camicie Nere, Ascari, Ziptiè si scontrarono con circa 22.500 Britannici e Alleati delle loro Colonie, ma mantennero l'impegno e tutti si immolarono contrattaccando laceri e stremati.
Il presidio del ridotto italiano, a fine di ottobre, poteva ormai solo opporre 1.800 uomini stanchi, affamati, sfiniti e febbricitanti, dei quali molti già feriti. Siamo ormai all'ultimo atto della tragedia per i difensori di Culqualber-Fercaber, decisi più che mai, dai comandante all'ultimo soldato, a non arrendersi neppure con l'onore delle armi: piuttosto preferiscono morire tutti.

Il 12 novembre comincia l'attacco britannico decisivo. Esso non riuscirà ad aver ragione di quel pugno di eroi se non il 21 novembre, dopo nove giornate di durissima ed impari lotta.
Basta prendere un qualsiasi vocabolario della lingua italiana e alla voce " eroe " si legge: 
" Chi sa lottare con eccezionale coraggio e generosità, fino al cosciente sacrificio di sé per una ragione o ideale ritenuto valido o giusto".
All'alba del 12 una cinquantina di aerei, in ondate successive, tempestarono di bombe e mitragliarono l'intera area dei capisaldi, procurando forti nostre perdite in morti e feriti.
Dopo una notte insonne, perché i difensori erano tesi per cercare di evitare qualsiasi infiltrazione, gli italiani furono investiti allo spuntare del giorno 13 da un attacco generale da tutte le direzioni.
Reparti regolari di indiani, di sudanesi e di est africani con una massa di abissini, tutti inquadrati da ufficiali e sottufficiali inglesi, si lanciarono all'assalto. Il maggiore sforzo fu esercitato contro il costone dei Roccioni, sul lato nord, difeso dalle compagnie 3a del CCXL Btg. Camicie Nere e dalla 2a del Battaglione Carabinieri. In qualche punto la linea fu intaccata ma la situazione fu subito ristabilita da una serie di furiosi contrattacchi.
Il nemico, che aveva subito enormi perdite, fece scavalcare da nuove masse fresche quelle che erano state respinte nel primo attacco. Questa volta gli Inglesi riuscirono ad arrivare fino sul bordo delle trincee ma vi furono annientati colpi di baionetta e lancio di bombe a mano.
Quando, verso le 17, l'avversario abbandonò la partita ormai perduta, oltre 150 suoi caduti erano disseminati davanti alle nostre linee. Carabinieri e Camicie Nere si erano battuti da disperati, senza limiti di sacrificio. Presso la 3a Compagnia Camicie Nere, caduti tutti i difensori di un centro di fuoco, essi furono spontaneamente sostituiti da un gruppo di cucinieri e di scritturali; sottoposto nuovamente lo stesso centro ad un implacabile bombardamento di mortai nemici, questi valorosi combattenti improvvisati si lasciarono massacrare fino all'ultimo uomo piuttosto che abbandonare il posto che erano accorsi a difendere e a non far cessare così il fuoco delle armi del centro.
Alla fine della giornata del 13 novembre, il CCXL Btg. CC.NN aveva già perduto il 45% dei propri effettivi.
Una giornata di sosta. La lotta riprese il 15 con un ennesimo furioso bombardamento delle posizioni italiane sia da terra che dall'aria.
Nuovi attacchi nemici si scatenarono il 16: furono tutti respinti sanguinosamente, ma intanto nuove perdite assottigliavano le file dei coraggiosi difensori. Il mattino del 18, nel settore sud, si delineava un attacco con carri armati: le mine a strappo ne facero saltare alcuni e gli altri si ritirarono. Intanto, contemporaneamente, le autoblindo attaccavano a nord e venivano ributtate dai precisi tiri dei pochi pezzi della difesa.
Il giorno 19, dopo una nuova proposta di resa onorevole, naturalmente anch'essa respinta, ricominciarono i bombardamenti aerei e continuarono per tutto il 20 novembre: la sella di Culqualber era tutta un ribollire di scoppi, di schegge e di fiammate. La terra era bollente per il calore lasciato dallo scoppio delle bombe di aereo. Le nostre perdite crescevano. Il Caposquadra Colagrossi, della 42 Compagnia CC.NN., ferito gravemente, rifiuta di essere trasportato all'ospedaletto e aggrappato alla mitragliatrice, continua a sparare cantando: « ma la mitragliatrice non la lascio! ».
Alle tre del mattino del 21 novembre grossi nuclei nemici iniziano l'avvicinamento alle posizioni italiane, ferocemente investite dal fuoco da ogni direzione.
Prima dell'alba, nel buio, dai posti di difesa e dalle trincee, si era sollevato sommesso ed accorato e per l'ultima volta il canto di Culqualber: erano le Camicie Nere del CCXL Battaglione!
Davano lo estremo saluto alla Patria ed alla vita.
Dopo un fuoco spaventoso si sviluppò l'assalto decisivo e totale, con più violente puntate nei settori del fronte nord, tenuti dalle Compagnie 1a e 3a dei legionari e dalla 2a Compagnia Carabinieri. Contemporaneamente veniva investito il fronte sud (1a Carabinieri e 2a CC.NN.).
Alle prime luci dell'alba, mucchi di cadaveri nemici coprivano il terreno antistante alle nostre posizioni e molti erano i caduti ed i feriti fra i difensori. Ma non un palmo di terreno era ancora andato perduto.
Alle ore 6.00 l'attacco riprese sempre più intenso. iI Ten. Col. Ugolini, dal suo posto di comando bersagliato come le trincee, si teneva in contatto coi comandanti dei suoi tre battaglioni. Anche a Fercaber, il XIV Btg. CC.NN. del Seniore Lasagni era assalito con violenza e si difendeva accanitamente.
Il secondo attacco della giornata si scatenò soprattutto contro il settore della 2a Compagnia CC.RR. e contro le CC.NN. di Calabrese e di Mazzoni. Le forze degli italiani si andavano assottigliando. I nemici giunti sulle trincee furono ancora una volta ributtati indietro in furibondi corpo a corpo. Dalle due parti c'era stata una strage.
L'avversario era però riuscito ad infiltrarsi tra i due caposaldi di Culqualber e di Fercaber riuscendo così a separarli: ma il XIV Btg. Camicie Nere, ormai isolato, resisteva ancora arroccato alle sue posizioni.
Dopo le ore 7.00 l'attacco si faceva sempre più vigoroso. I carabinieri del capitano Azzari (2a Compagnia) erano maciullati dai colpi di mortai e dai mitragliamenti degli aerei a volo radente. Un nuovo assalto trovò pochi superstiti che si difesero fino alla morte ed il nemico conquistò le trincee ormai deserte. Sommersi i posti avanzati, i reparti africani, inglesi e indiani piombarono alle spalle degli ultimi uomini della 2a Carabinieri; questi contrattaccarono all'arma bianca ma vennero schiacciati dal numero delle orde avversarie, e la stessa sorte toccò subito dopo alla 2a compagnia delle CC.NN.
Perduto anche il costone dei Roccioni, i pochissimi superstiti dei Carabinieri e dei Legionari, sfiniti e sanguinanti, ripiegarono raccogliendosi intorno al comando per l'estremo sacrificio.
Sul settore sud intanto CC.RR. e CC.NN., allo sperone ed alla gola Uorkajè, resistevano senza cedere terreno. Il nemico, ubriaco di alcool e di successo, stava per invadere l'interno del ridotto, ma le ultime due compagnie di ascari, con il Maggiore Garbieri alla testa, vennero gettate al contrattacco. Esse esitarono un istante, ma, quando videro aggiungersi ad esse gli ultimi resti degli italiani, si buttarono sull'avversario. Questo non ebbe il coraggio di affrontare questi uomini trasformati in belve e si diede alla fuga. Alle ore 9,30 tutte le trincee erano riconquistate.
Contemporaneamente la drammatica lotta impegnava la 4a Compagnia delle CC.NN. In suo soccorso accorreva la la Compagnia del LXVII coloniale ed insieme i due reparti riuscivano a disperdere i soldati sudanesi.
Dopo una breve pausa, la lotta si riaccese feroce con un nuovo attacco alla la Compagnia Carabinieri del Capitano Celi ed al costone dei Roccioni ora difeso dai resti delle compagnie CC. NN. 1a e 3a del CCXL Btg.
Straziati dai colpi dei mortai i difensori dovettero ripiegare; poi, aiutati dagli ultimi ascari, con un estremo contrattacco ristabilirono l'integrità della linea.
I caduti si sommavano ai caduti; i sopravissuti avevano ormai accettato serenamente il loro destino di morte. Il tempo passava, finivano le munizioni, ma la lotta continuava inesorabile. Alle ore 12,50, primo fra gli avanzi dei suoi ascari, cade il Maggiore Garbieri.
Intanto il presidio di Fercaber, (le CC.NN. del XIV Btg., i pochi ascari ed i genieri ed artiglieri), aveva dovuto soccombere letteralmente sopraffatti. Erano le 13.00 del 21 novembre ed a Culqualber si lottava ancora stoicamente. Il Maggiore Serranti, comandante dei Carabinieri, già ferito e sanguinante, continuava imperterrito a restare con gli ultimi uomini del suo battaglione. Anche il Ten. Col. Ugolini perdeva sangue da molte ferite, ma nessuno cessava di combattere.
Sotto l'impeto di un feroce assalto delle truppe coloniali inglesi, i difensori, sfiniti, cominciarono a vacillare. Raccolto l'ultimo pugno di soldati, il Maggiore Serranti ed il Seniore Cassòli del CCXL Btg. CC. NN. balzarono ad un estremo contrassalto: mescolati, Carabinieri, CC.NN., ascari e genieri, al grido di «Savoia», ingaggiano una lotta furibonda.
In quest'ultimo disperato slancio morì gloriosamente il Maggiore Serranti trapassato dalla baionetta di un soldato sudanese; subito dopo, cadde fulminato da una pallottola il Seniore Cassòli, comandante del CCXL Btg. CC.NN. E' giusto ricordare anche l'estremo sacrificio di circa 8 tra Carabinieri e Camicie Nere che rimasti vivi dentro una trincea, vengono circondati da truppe inglesi, ma decisero di non arrendersi; finite cartucce e bombe a mano, non rimase loro che innestare la baionetta. Schierati a quadrato e rifiutato l'ennesimo ordine di arrendersi, al canto della "canzone di Culqualber, andarono irruenti all'attacco con la sola baionetta, ma vennero trucidati dal nemico che nel frattempo aprì il fuoco.
Raccolti attorno all'eroico comandante del ridotto, pochissimi sopravvissuti, sparati gli ultimi colpi, fatti saltare i pezzi di artiglieria, inutilizzate le armi, contornati dai corpi dei compagni caduti, si prepararono a morire. II Ten. Col. Ugolini fece ammainare la bandiera e la bruciò.
Gli episodi di valore individuali e collettivi non si contarono più e i nostri, nazionali e coloniali, uomini e donne, entranrono nella leggenda. Le popolazioni abissine ricordano ancora con ammirazione i difensori di Culqualber-Fercarber definiti, con la loro figurata espressione, come i "Leoni ruggenti del passo delle Euforbie".
Intanto l'ondata dei nemici arrivò al cuore del caposaldo ed un soldato africano si lancia con la baionetta contro il comandante italiano, ma venne fermato, appena in tempo, da un capitano inglese, che salutò Ugolini e rinunciò a farsi consegnare da lui la pistola. In riconoscimento del suo valore, con una autorizzazione speciale del Gen. James, Ugolini conservò l'arma anche in prigionia.

Cadde così il sipario sull'epopea di Culqualber - Fercaber.
L'eroica superba estrema difesa è costata, tra il 13 ed il 21 novembre, le seguenti perdite:
- su circa 1.580 nazionali: caduti, 513 - feriti, 404.
- su circa 1.200 coloniali : caduti, 490 - feriti, 400.
su circa 200 donne mogli degli ascari, ne perirono oltre 100,
Molti dei coloniali avevano, come sempre é stato costume nelle nostre truppe africane, mogli e figli al seguito. Le donne erano circa 200 ed anch'esse si comportarono egregiamente nello svolgimento dei compiti logistici loro assegnati.
In particolare, il CCXL Btg. Camicie Nere si immolò quasi completamente sul campo.
Il Ten. Colonnello Ugolini, comandante di grande tempra e con una lunga esperienza africana, aveva saputo amalgamare le forze ai suoi ordini fondendole in un unico blocco determinato a resistere fino all'impossibile, consapevoli - fra l'altro - che la loro resistenza avrebbe ritardato l'attacco finale da parte del nemico con colonne motorizzate alla fortezza di Gondar, ultimo baluardo della nostra difesa in Etiopia. Tutte le sue truppe avevano fatta loro "una cantata dei legionari" composta dal comandante della 1a compagnia del CCXL Btg. CC.NN. ( Centurione Calabrese) che diceva:

 

........Italia mia, da sol combatterò per te,
mangerò l'angerà e la burgutta,
soffrirò, lotterò, morirò per te;
pur se la vittoria é una chimera
io non mi arrenderò,
alzo la mia bandiera
e per l'onore sol combatterò......
Queste strofe passeranno alla Storia come la "Canzone di Culqualber".

Non esiste un cimitero per questi eroi. C'è solo un cippo malandato. Un paio di anni fà qualcuno venne da Roma per visitare il luogo alfine di erigere un monumento...ma finora solo chiacchiere. Vedrò di darmi da fare per trovare qualcuno che mi ascolti per sensibilizzarlo a proposito.


Un paio di anni dopo, un graduato americano disse: gli Italiani sono i peggiori soldati sulla faccia della terra. The American Lietenant Leonard E. Jones, of C Company (Big Red One), 18th Infantry Regiment, laughed: " Italians are the worst soldiers on the face of the earth. They love to be captured".
Disse questo poichè forse non si era mai trovato davanti i difensori di Culqualber o i parà della Folgore e tanti altri ancora.


The African "Camelot" is situated in a beautiful setting between mountains among many castles. It was a medieval city and was the ancient imperial capital of Ethiopia. Gondar was founded in 1635 by the Emperor Fasilide. Besides the Fasilide Castle shaped like a saddle, the musical house (Dawitt III) among others. Gondar is the city that shows most of past Italian colonial signs. Just a short walk in the center around the main square where the Post Office is located, one can see the fascist heritage in the urban architecture. It was one of the most relaxing a pleasant trips in Ethiopia.

Gondar fell on November 27, 1941 occupied by the English troops after nine days of "holocaust" of Culqualber-Passo delle Euforbie, where approximately 3000 Carabinieri, Black Shirts, Ascars, Ziptiés battled against 22.500 British soldiers. They held on strongly, although badly beaten. There is no cemetery for these heroes. There is only a worn out sign. A couple years ago someone from Rome come to visit the site in order to erect a monument...but nothing has been done.


Few years later, the American Lieutenant Leonard E. Jones, of C Company ( Big Red One) 18th Infantry Regiment, laughed: 
"Italians are the worst soldiers on the face of the earth. They love to be captured."


domenica 22 aprile 2007

Adua, Adwa.



Vecchio edificio italiano sulla Piazza del Mercato.

Piccolo monumento ai caduti della battaglia di Adua del 1 marzo 1896,
inaugurato dal Mar. Del Bono il 13 Ottobre 1935.

La pista che arriva ad Adua venendo da Abbi Addi.


Veduta della città di Adua.


Adua, città al nord dell'Etiopia, vicino al confine con l'Eritrea. Non lontana da Axum. Un nome che ci ricorda una famosa nostra sconfitta militare del 1896, complice il Gen. Albertone.
Esiste ancora, a detta della guida, il ficus sotto il quale furono tagliate le mani sinistre e i piedi destri dei 406 ascari tigrigni che furono fatti prigionieri, poiché considerati dei traditori dell'Etiopia.
Il colle è ancora lì, ma non sono sicuro che l'albero sia lo stesso. Ascaro deriva dall'arabo askar "soldato". Ai 406 Ascari mutilati furono date 1000 lire come pensione vitalizia.

Non si può nominare Adua senza ricordarsi di Suor Laura Girotto e le sue collaboratrici che stanno facendo un lavoro formidabile. Non esistono parole per descrivere il loro operato.