mercoledì 28 febbraio 2007

Le piste, Les pistes, The tracks

Camion ribaltato a causa delle pessime condizioni della pista.


Pista nel deserto del Sahara su ciottolato alluvionale.

Pista in laterite in ottime condizioni.

Ponte di legno.

Tavolato mal ridotto su di un ponte in tronchi d'albero.


Pista in terra battuta durante la stagione delle piogge.

Ottima pista in laterite che invita a spingere l'accelleratore, ma molto pericolosa per gli automobilisti meno esperti; si sbanda e si cappotta molto facilmente.

In Africa gli spostamenti non sono sempre facili. Solamente gli assi principali sono asfaltati. Quasi sempre sia per lavoro o per turismo, è necessario avventurarsi su piste che, specialmente durante la stagione delle piogge diventano delle vere trappole anche per i migliori fuoristrada.
Fortunatamente in questi ultimi anni i Governi africani e i Donatori di fondi, hanno stanziato cifre considerevoli per la costruzione di nuove strade e il miglioramento delle vecchie.
Ormai i lunghi spostamenti tra città importanti si fanno su strade ben asfaltate, ma non per questo meno pericolose, specialmente negli attraversamenti di villaggi, dove animali o bambini tagliano l'asfalto all'improvviso con tutte le conseguenze immaginabili.

martedì 27 febbraio 2007

Ponti africani, Le ponts africain, The African bridges





Ponte di liane sul Fiume Seli, Sierra Leone.



Questa era una passerella pedonale per collegare le due sponde del fiume Seli nelle montagne della Sierra Leone. Credo che oramai non esista più, dopo la costruzione della diga. E' stato per me una sorpresa indimenticabile. Mi sono subito chiesto come gli abitanti dei villaggi vicini erano riusciti a costruire una simile meraviglia usando solamente prodotti della foresta. Niente filo di ferro o corde solo liane. Mi sono seduto ad ammirare questa bellezza architettonica. Veramente stavo osservando concretamente qualcosa che stava soltanto nel mio immaginario e che ora mi appariva con tutto il suo fascino. Ogni tanto qualcuno transitava sulla passerella con una velocità e una disinvoltura incredibile. Donne con bambini appesi alle spalle. Oppure con grossi fardelli sulla testa. Camminavano come se stessero sulla terra ferma. Tentai i primi approcci per prendere confidenza con lo stretto passaggio. Le scarpe erano scomode per appoggiare i piedi sul mazzo centrale delle liane. Me le tolsi e notai che a piedi nudi era più facile camminarci sopra. Comunque faceva impressione la sua altezza dall'acqua del fiume che scorreva con velocità elevata. Scivolai con un piede e mi ritrovai a cavalcioni sulla passerella sotto le risate dei miei accompagnatori locali. Nei giorni successivi attraversavo la passerella con la stessa facilità degli africani.

sabato 24 febbraio 2007

Scarificazioni - Scarification - Scaring




 Sierra Leone, Bumbuna Village, scarificazione sulle spalle come appartenenza ad una etnia.


 
Nord Camerun, scarificazioni sul viso per bellezza.

Scarificazioni sul viso nel nord della Nigeria.

Per scarificazioni si intendono tutte quelle pratiche volte a lasciare cicatrici (scaring in inglese) permanenti sul corpo tramite varie tecniche e strumenti. Le cicatrici ottenute sono in rilievo (cheloidi) e formano dei motivi o disegni più o meno complessi.
E' tradizionalmente il metodo più antico per ottenere delle cicatrici volute. In pratica vengono eseguite delle incisioni molto profonde ed irritate con carbone e sale. Questa tecnica è diffusa nel Continente Nero dove ogni etnia ha i suoi metodi e disegni.

mercoledì 21 febbraio 2007

Lalibela - Etiopia



La Chiesa di Bet Ghiorghis, la più famosa.



Nel pittoresco paese, ombreggiato da enormi ginepri e da contorti ulivi, si annidano le celebri 11 Chiese Monolitiche, che fanno di Lalibela una città santa per gli Etiopi ed il più importante centro artistico insieme ad Axum ed a Gondar. Secondo la tradizione, le chiese sarebbero state costruite da Lalibelà o Lalibalà o Gabrà Mascàl, Imperatore della dinastia Zaguè, prima del 1225, forse ad opera di artigiani copti venuti dall'Egitto o da Gerusalemme. Le chiese, tutte ben orientate, sono scavate in una specie di gres rossastro a grana grossa. La città è attraversata dai torrenti Iordanòs, così detto dal sacro Giordano, e dal Ghiorghis. Tra i due torrenti c'è un gruppo di 7 chiese: Medhame Alèm, Bèt Mariàm, Bèt Danaghèl, Bet Golgotà, Bet Debrè Sina anche detta Bet Mikael, Bet Ghiorghis e la Cappella Sellassiè. All'estremità est del gruppo, in trincea rettangolare, c'è la chiesa Madhame Alèm (Salvatore del Mondo) la più grande delle 7 e una delle più belle di tutto il complesso. All'estremità sud-ovest del paese, in un cortile rettangolare, si trova la chiesa di Ghiorghis, a forma di croce greca. Modanature orizzontali sembrano dividerla in tre piani. A sud del torrente Giordano si trovano 4 chiese: Bet Emanuel, Bet Markorios, Bet Abba Libanos, Gabriè Rafael. Lalibela attualmente rientra nella lista dei luoghi "patrimonio dell'umanità" dell'Unesco.

martedì 20 febbraio 2007

La Stele di Axum - L' obelisque de Axum - Axum obelisk






 Il parco delle steli ad Axum.



Cari Amici,
ho trovato questo articolo navigando su internet. A parer mio è molto interessante poiché, come spiega il giornalista del " Manifesto" nella dimenticata Etiopia, ci sono ben altri problemi...
Ho fatto anche io la mia piccola inchiesta a partire da Macallè, fino ad Axum, passando per Adua, Sinkata, Hawzien, Adigrat, per sapere cosa la gente pensa di questo ritorno: le stesse che ha raccolto il Sig. Emilio Ernesto Manfredi.
Aggiungo le foto dei tre tronconi che giaggiono miseramente nella polvere.



AXUM Arriva il primo troncone dell'obelisco. Ma nel paese si pensa ad altro: la fame, la siccità e le tensioni con l'Eritrea e con la Somalia
Emilio Ernesto Manfredi
" il manifesto "

Etiopia, il ritorno della stele. A tre settimane dal voto. La restituzione del monumento è una buona mossa d'immagine per il premier Meles Zenawi, in vista delle prossime elezioni legislative del 15 maggio

Addis Abeba. «Sono contento, la stele di Axum non è solo un monumento che appartiene alla mia città, è proprietà del nostro paese, un pezzo della nostra storia, si tratta di un grande passo avanti per noi tutti», dichiara Salomon, rispondendo al telefono dell'albergo in cui lavora. Ad Axum, già da giorni, una serie di striscioni inneggiavano agli sforzi prodotti dal governo etiopico e dal Comitato nazionale etiope per il ritorno dell'obelisco nel suo luogo di origine. Per le strade, cortei di donne vestite degli abiti e degli ornamenti tradizionali di questa zona, il Tigray etiopico, bandiere verde giallo rosso a sventolare nella canicola, attiravano l'attenzione cantando e suonando. Si narrava di corriere provenienti dalle zone circostanti, piene di gente pronta ad accogliere l'arrivo della stele. Festeggiamenti preparati con attenzione, ma apparentemente di nuovo inutili. Ai bordi delle vie, poggiati ai muri, seduti davanti agli esercizi commerciali a cercare un po' d'ombra, gli abitanti della cittadina parevano ormai rassegnati all'ennesimo rinvio. Ed invece, incredibile a dirsi, all'alba di ieri, all'orizzonte del piccolo aeroporto di Axum, è comparso l'Antonov 124-100 che sembrava non dovesse arrivare mai.
Poco dopo, sono iniziate le operazioni di scarico della prima delle tre parti in cui è stata sezionata, a Roma, la stele trafugata 68 anni fa dalle truppe fasciste e rieretta nella capitale italiana per celebrare il quindicesimo anniversario della marcia su Roma. Il trasporto del monumento, ha dichiarato al manifesto questa mattina una fonte dell'ambasciata italiana,
dovrebbe essere completato agli inizi della prossima settimana, condizioni climatiche permettendo.
Ad attendere l'atterraggio del cargo, diverse autorità civili e religiose etiopiche, assieme all'ambasciatore italiano Guido La Telia, sicuramente sollevato dalla conclusione di questa imbarazzante vicenda. A rappresentare il governo etiopico, tra gli altri, era presente il ministro per la cultura, Ato Teshome Toga. Egli, dopo avere annunciato già per mercoledì scorso l'arrivo del monumento, ha potuto finalmente sfogare la propria gioia. «Sono davvero felice, questo è un momento storico per noi, così a lungo atteso», ha dichiarato, mentre nella cittadina etiopica al confine con l'Eritrea i cortei celebrativi perdevano parte del loro risvolto farsesco.
Un buon risultato per il governo di Meles Zenawi, in vista delle elezioni politiche del 15 maggio prossimo. Il primo ministro etiopico non aveva di certo gradito l'ennesimo ritardo nell'arrivo della stele dall'Italia, avendo puntato molto sull'evento come pubblicità elettorale a proprio favore prima delle consultazioni. In realtà, in Etiopia, soprattutto fuori da Axum, dove la propaganda governativa aveva previsto che l'obelisco fosse accolto con tutti gli onori,
permane la sensazione che tutto questo non costituisca certo un problema fondamentale per la popolazione. «Non so cosa sia l'obelisco, non so esattamente nemmeno dove sia Axum, non capisco. Mi sono alzata all'alba e sono scesa qui ad Alamata a piedi, due ore di cammino, per vendere delle uova e con i soldi comprare altre cose da mangiare», raccontava qualche giorno fa Roman, 18 anni, seduta a terra nella polvere, sotto il sole rovente del primo pomeriggio. Alamata è un piccolo centro abitato, nella regione del Wollo, circondato da campagne, in cui si spera solamente che la stagione delle piogge imminente renda fertili a sufficienza le terre, così da poter garantire cibo per le persone e gli animali. Nel mercato, intorno a Roman, migliaia di altre persone si arrabattano in piccoli commerci per poi ricomprare altri generi utili alla quotidiana sopravvivenza. Molto spesso la povertà fa sì che si rivendano farine, granaglie e olio provenienti dagli aiuti umanitari.
In questa Etiopia dimenticata, ma dove vive gran parte della popolazione locale, è difficile potersi interessare alla doverosa restituzione dei patrimoni storico-culturali sottratti dall'esperienza coloniale italiana. La stele è arrivata, ma pochissimi sembrano essersene accorti. Nessuna manifestazione è stata organizzata per l'occasione.
Anche per le strade di Addis Abeba, la vita prosegue normale. Alla sede dell'Istituto di studi culturali etiopici si fa poco cenno a ciò che è avvenuto ieri «Non sono state organizzate iniziative particolari poiché attendiamo il rientro di tutte le parti del monumento. Quando sarà completato, organizzeremo una conferenza», afferma la direttrice dell'istituto, Elsabhet Woldegeorges. L'unico che sembra davvero informato sugli avvenimenti, e sovraeccitato dalla notizia, è Khruma. «È realmente importante ciò che è successo oggi, finalmente ha fine una delle vicende più vergognose dell'occupazione italiana in Etiopia». Sprizza gioia, Khruma. Tuta da ginnastica, turbante bianco in testa, a raccogliere i dreadlocks, Khruma abita ad Addis da alcuni mesi. Ma è nato in Ghana, cresciuto in Canada, e tornato nella terra promessa dei Rastafari. Escluso lui, nessuno sembra voler perdere molto tempo a parlare di ciò che è successo.
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Dear Friends,
I found this article on Internet. I thought it was very interesting since, as the journalist from “Il Manifesto” explains that in the forgotten Ethiopia there are other problems…
I also conducted a small research starting from Macalle’ to Axum, passing through Adwa, Sincata, Hausien, Adigrat to find out what the people thought about this return: the same things that Mr. Emilio Ernesto Manfredi gathered.
Pictures of the three parts that sadly sit in the dust for who knows how long are added.
Follow my blog… there will be updates regarding this.

Axum. The first part of the obelisk arrives. But in the country there are other things to think about: hunger, draught and the tension with Eritrea and Somalia.
Emilio Ernesto Manfredi.Il Manifesto

Ethiopia, the return of the stele. Three weeks from voting day. The return of the monument is a good move for the image of Premier Meles Zenawi in view of the May 15 elections.
Addis Abeba. “I’m happy. The Axum stele is not only a monument that belongs to my city, it belongs to our country, a piece of our history and is a big step ahead for all of us”, declares Salomon, answering the telephone from the hotel where he works. The last few days in Axum, a series of banners waved stating the efforts from the Ethiopian government and the national Ethiopian committee for the return of the obelisk to its original country. Along the streets, women dressed in traditional garbs and ornaments. The Ethiopian Tigray, the green, yellow and red flag waved from the pole and attracted the attention with songs and sounds. It was said that couriers from adjoining areas and people ready to greet the arrival of the stele. Festivities were prepared, but apparently useless. On the sides of the streets, against the walls ….. they seemed resigned at the delays. Incredible, but true, upon sunrise yesterday on the horizon of the small Axum airport an Antonov 124-100 flew in.

Soon after, the unloading of the first of the three parts that it was divided back in Rome after having been purloined by the Fascist troops and re-erected in the Italian capital to celebrate the 15th March on Rome. The transportation of the monument was declared to Il Manifesto this morning by a voice at the Italian Embassy, should be complete by the beginning of the next week, weather permitting.

Several Ethiopian civil and religious authorities were on hand to wait for the cargo plane to land, together with the Italian Ambassador, Guido La Telia for sure relieved that this embarrassing situation was finished. Also present was the Ethiopian Cultural Minister, Ato Teshome Toga. After having announced beforehand the arrival of the monument, he could finally shout out his joy “I am very happy, this is a historical moment for us and much waited for”, while the celebrations in the Ethiopian city confining with Eritrea, lost a little bit of its luster.

A fine result for the government of Meles Zenawi, in view of the elections of May 15. The prime minister certainly had not been happy about the delay from Italy, since he had counted on that arrival to favor his elections. In reality, in Ethiopia, especially outside of Axum where the government propaganda foresaw that the obelisk be greeted with honors, the fact remains that this did not constitute a fundamental problem for the people. “I don’t know what the obelisk is, I don’t really know exactly where Axum is, I don’t understand. I woke up at dawn and came down by foot to Alamata –a two hour walk- to sell eggs and with that money to buy other things to eat” says Roman, 18 years old, sitting on the ground in the dust under a scorching sun. Alamata is a small town in the region of Wollo, surrounded by countryside, where the only hope is that the rains arrive to allow the crops to grow to feed people and animals. In the market, around Roman, thousands of other people shuffle in small trades to buy other staples for everyday survival. Many times poverty has been so bad that flour, grains and oil given by humanitarian aid are sold at markets.

In this forgotten Ethiopia, but where the major part of the local population lives, it’s difficult to be interested in the restitution of a historical-cultural patrimony that was taken away by the Italian colonialists. The stele arrived, but very few were aware. No celebration was organized for the occasion.
In the streets of Addis Abeba, normal life goes on. At the Institute of Ethiopian Cultural Studies very little is said about what happened yesterday. “No special initiatives were organized since we are waiting for the entry of all the parts of the monument. When it’ll be complete, we’ll organize a conference”, says the Director of the Institute Elsabhet Woldegeorges. The only person who seems really informed on the events and actually excited by the news is Khruma. “It’s really important what happened today. Finally one of the most shameful episodes of the Italian occupation in Ethiopia has come to an end”. Khruma is very happy in his jogging suit and a white turban to hold his dreadlocks. He’s been living in Addis Abeba for a few months, but was born in Ghana, grew up in Canada and returned to the promised land of the Rastafarians. Except for Khruma, nobody seems to want to lose time talking about what happened.

lunedì 19 febbraio 2007

Cimitero Militare Italiano di Macallè - Forte Galliano, Cimetière Militaire Italien de Macallè, Macallè Italian War Cemetery


I resti del Forte Galliano sulla collina che domina la città di Macallé.
Les ruines du Fort Galliano sur la colline qui domine la ville de Macallé.




 Il Massiccio dell' Amba Aradam visto da Macallé.


 Una lapide sul muro di cinta. Une pierre tombale sur le mur d'enceinte.


Il Cimitero Militare Italiano di Macallè
Le cimitière militaire italien de Macallé.


Il piccolo cimitero sorge dietro il vecchio Forte Galliano, all'interno del complesso della nuova università di Macallè. Per visitarlo è necessario passare tra le forche caudine dei guardiani al cancello dell'università. Qualche volta danno un accompagnatore per far da guida o controllo, altre volte, dopo un po ci si mette d'accordo e si entra da soli. E' ben fatto, ci saranno circa 500 tombe (ossari). Il vecchio guardiano un po burbero, spero che sia andato in pensione, poiché l'ultima volta, che ho visitato il cimitero, ho trovato due giovanotti che si sono presentati con il libro dei visitatori da firmare e lasciare un commento con un po di mancia. Sicuramente questa iniziativa è stata presa dal nuovo Ambasciatore Italiano ad Addis Abeba , Raffaele de Lutio. Ogni volta debbo insistere che l'erbaccia va tolta e che le piante vanno innaffiate. I colleghi non capirono il perché di questa preoccupazione di tenere pulito il cimitero che è anche un pezzetto di Patria...(a qualcuno e` scappato detto: erano solo degli sporchi fascisti...) a chi legge ogni commento. Per chi non è d'accordo, ogni volta, che parte un amico o un collega per Macallè gli do un po di euro per il guardiano affinché quei poveri resti abbiano un luogo dignitoso dove riposare per sempre.
Militari italiani al Forte Galliano nell'ottobre del 1935

Vicinissimo c'è il Forte Galliano. C'è rimasto ben poco della vecchia struttura. Un bruttissimo cartellone pubblicitario è stato proprio montato sul forte stesso. Nella guerra 1895-1896, Giuseppe Galliano, capitano dell'esercito italiano, ritardò l'avanzata di Manelik resistendo nel forte di Enda Jesus (in seguito chiamato Forte Galliano), nei pressi di Macallè e né
usci con l'onore delle armi il 21.01.1896. Rientrato nelle linee italiane, cadde in combattimento ad Adua nel 1896.

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Le petit cimetière est situé derrière le vieux Fort Galliano, à l’intérieur du complexe de la nouvelle université de Macallé. Pour le visiter il faut d’abord passer sous les « Fourches Caudines » des gardiens qui surveillent l’entrée de l’université. Lors des premières visites ils vous imposent un accompagnateur qui vous sert de guide ; ensuite lorsqu’ils vous connaissent, ils vous laissent aller seul. La première impression que l’on ressent dans ce lieu est la dignité. Il y a environ 500 tombes (ossuaires). Lors de ma dernière visite, je n’ai plus vu le vieux gardien, un peu antipathique, mais deux jeunes qui se sont présentés avec un livre d’or pour recueillir commentaires et signature des visiteurs et recevoir un petit pourboire par la même occasion. Cette heureuse initiative a certainement été prise par le nouvel ambassadeur l’Italie à Addis Abeba, Raffaele de Lutio.
A chacune de mes visites, je dois répéter qu’il faut enlever les mauvaises herbes et arroser les plantes. Les collègues ne comprennent pas pourquoi je tiens particulièrement à ce que ce cimetière soit entretenu. Certains ne comprennent pas et critiquent et osent prétendre que de toutes façons ce n’étaient que des fascistes. Je vous laisse juges. Pour ma part, chaque fois qu’un collègue part pour Macallé, je lui confie quelques euros pour le gardien afin que les restes de ces personnes reposent en paix dans un lieu digne.
A deux pas se trouve le Fort Galliano. Pendant la guerre 1895-1896, Giuseppe Galliano, capitaine dans l’armée italienne, retarda l’avance de Manelik, en résistant dans le Fort de Enda Jesus (appelé ensuite Fort Galliano). Il en sortit avec l’honneur des armes le 21 janvier 1896. Il mourut ensuite au combat à Adua en 1896.

venerdì 16 febbraio 2007

Piercing







Piercing deriva dall'inglese il cui significato è: pungente, penetrante, tagliente. In italiano assume il significato di forarsi parti del corpo allo scopo di introdurre anellini, brillantini, barrette come abbellimento delle narici, orecchie,mento, lingua, ombelico. Pare che il piercing siano nato in Egitto. Diffuso pure tra i legionari romani come segno di coraggio.
Nelle foto potete ammirare piercing di varie Etnie africane, molto diffuso nel Continente nero.

domenica 11 febbraio 2007

Da Kayes a Bamakò in treno (3° parte) - De kayes a Bamakò en train -




                                                    Il treno entra nella stazione di Bamakò.

La notte passò senza nessun particolare avvenimento. L'aria era diventata più respirabile e la temperatura era scesa di poco, ma non avevamo il sole che dardeggiava implacabile. Si sentiva soltanto lo sferragliare delle ruote metalliche sulle ormai ben usurate rotaie. Non capivo come mai un convoglio del genere riusciva ogni volta ad arrivare bene o male a destinazione. Giungemmo in una piccola stazione. Si ripeteva lo stesso scenario folcloristico delle precedenti. Le carrozze viaggiatori venivano letteralmente prese d'assalto dai venditori di ogni tipo di mercanzia. Ma la più gettonata era l'acqua fresca. Ne comperai una buona quantità e me ne servii solo per lavare il mio sudicio corpo. La zona era in piena "brousse" povera e spoglia. L'area si presentava decapitata di tutti gli alberi più grandi. Si notava che ci avvicinavamo ad una grande consumatrice di legname: Bamako.
La polvere era onnipresente e la gente e gli animali ne sollevavano una enorme quantità. Il mio naso e la gola ne erano ben pieni. Tirai fuori, un pò dimenticato il mio fedele "schesh", compagno di molti viaggi in deserto. Me lo misi a mò dei Targui per proteggermi dall'invasione della polvere. Prima di ciò non rinunciai ad una doccia con acqua fresca. Mi venne un appetito da leone. Il caldo iniziava a dar fastidio. Ormai il sole aveva abbandonato la sua cuccia notturna e si presentava a noi con tutto il suo carico di fuoco. Vidi delle ottime papaye di buona grandezza e dal colore della pelle che mostravano, capii che erano al loro punto giusto di maturazione. Ed ancora una volta: la classica colazione africana a base di papaya. Ottima, era ancora di gradevole sapore fresco immagazzinato nella notte precedente. Ad un tratto mi resi conto che nulla si muoveva per riprendere il cammino. Ero un pò inquieto. Queste cose si sanno quando hanno inizio ma non quando hanno fine. Andai verso il fabbricato della stazione e parlai con il responsabile, il quale mi disse, senza essere troppo preoccupato, che la motrice era in panne. Mi confermò con poca convinzione che aveva contattato, via radio Bamako, ma non era sicuro del fatto, poichè poteva essere stato a rispondergli anche Dakar. In ogni caso qualcuno in Africa era a conoscenza che un convoglio era rimasto in panne nel più bel mezzo della "brousse maliana". Questo viaggio in treno cominciava ad essere stancante. Provai a restare calmo dicendo a me stesso tanto c'est l'Afrique. Ormai il sole dardeggiava con furore. Il caldo era quasi insopportabile. Mi misi sotto la piattaforma per restare in ombra. Curiosando la gente sembrava non curante del problema. Il guasto forse era l'ultimo dei loro pensieri. Forse non li riguardava, ma solo quel cretino di bianco, che ero io, si agitava. Il problema riguardava forse solo me. Il tempo non ha lo stesso valore che in Europa. Finalmente nel pomeriggio si senti un fischio di un treno in arrivo. Nessuno si proccupò più di tanto. I venditori seguitarono ad aggirarsi intorno al convoglio. Provai ad entrare nella mia Land Rover ma era come entrare in un forno. Ormai la poca acqua rimastomi era calda come un brodo e berla mi dava disgusto. Finalmente il convoglio mi mise in moto , ma piano piano poiché la nuova locomotiva doveva tirare anche la vecchia in panne. Il giorno stava per finire. Di nuovo il sole iniziò la discesa notturna. Il tramonto era bellissimo ed infuocato e i colori cambiavano con una velocità incredibile. Ognuno si preparò per passare la notte, sperando che veramente era l'ultima notte sul treno che aveva dimenticato che ci doveva portare a Bamako. Era quasi l'alba, il treno ridusse la velocità. Stavamo ad avvicinarsi alla capitale. Si notava che il convoglio arrancava e che la motrice non aveva sufficiente forza per scavalcare l'ultimo ostacolo che si parava davanti: una pendenza delle rotaie un po troppo forte per quella stanca locomotiva. Si fermò del tutto. Albeggiava. Piano piano inizio a retrocedere. Non capivo il motivo. Di nuovo si fermò. I ferrovieri incitarono tutti i passeggeri a scendere dal treno ma di lasciare i loro bagagli al loro posto. La gente obbediva senza parlare. Obbedirono pure quando l'equipaggio incitò tutti in lingua Bambara a dare una spinta al treno in modo di aiutarlo a scavalcare il punto critico. E tutti ma dico tutti fecero il gesto all'unisono. Superato l'ostacolo che ci separava da Bamako, il treno ridusse la velocità per permettere a tutti di saltare di nuovo a bordo. Molti arrancarono e ci riuscirono. Altri più deboli ci rinunciarono. Ma parevano rassegnati non arrabbiati. In ogni caso la capitale non era poi così lontana ed avrebbero recuperato i loro bagagli dentro la stazione. La distanza tra Kayes e Bamako e di poco sopra i 450 km e ci abbiamo impiegato quasi due giorni e due notti.
In queste latitudini non conta il tempo impiegato per viaggiare, l'importante è arrivare...come e quando...non ha importanza.
 
 

We arrived early in the morning at Kita station; the temperature was rising together with the sun. I was feeling dirty, hot and hungry. The station, like everywhere else, was full of goods sellers; a young woman was sitting nearby; she got an ice-box full of half litre plastic bags of cold water good for drinking and I bought all the contents of the ice-box to wash my dirty body.

Kita station is situated in the middle of the bush; the vegetation was very poor.

Dust was present everywhere; people and animals walking they were raising the dust and my nose was full of it and my throat was dry too. After the unexpected shower, I felt much better and I was thinking of having breakfast; I saw some papaya and I bought a big one for half price. The sun started to be at its hottest, a lot of people were walking around the train and I didn't see any preparation for the departure. As time went by, my worry grew and I decided to find out if something wrong had happened. I spoke to the station master and he told me that the locomotive's engine had broken down; when he saw me angry he told me not to worry because another locomotive should be there very soon, and to be more convincing he said that the radio operator was in contact with Bamako. I tried to keep calm. The train ride was becoming too long and too tiring. I found a shady place from where I could see my car. At eleven o'clock nothing had happened. All the people, the passengers, the station staff were as calm as if the broken locomotive problem was somebody else's. This is Africa. C’ est l’ Afrique The value of time is not the same as in Europe. The most important thing was to arrive at Bamako but when and how wasn't their problem.

Later on, I heard a hoot, a locomotive arrived at the station. All the passengers moved slowly to get onto the wagons or well to the platforms; they were moving slowly because the weather was so hot, it was siesta time and going into the wagons was like to go into an oven. My drinkable water was very hot and when I tried to drink, the water temperature was disgusting. For lunch I ate one tin of tuna fish and one tin of sardines; this kind of food was making me thirstier because it was a salty. After more or less forty minutes, the train started. The average speed was reduced because the new locomotive had pull the old one. Night came and everybody tried to find a good position to sleep. Early in the morning we were not too far from Bamako: somebody said that in one hour's time we could arrive at destination. The train reduced the speed. The diesel locomotive tried to climb a hill, but it hadn't enough power to get up until it stopped. The train started slowly slowly to back as far as the horizontal railway and it stopped again. The train crew told all the passengers to get down from the wagons or well away from the platforms and they invited us to leave the baggage on. All the people were so calm and everybody obeyed the train crew when they also proposed to push the train all together to help him to reach the hilltop . The locomotive driver started to run with a very low load; I could see all the passengers push the train and it managed to pass the critical site very easily. At that moment, the locomotive reduced speed to allow the passengers to get on. But it was impossible for everybody to get on, specially for the old people; they seemed not to be worried, anyway Bamako wasn't too far. The distance from Kayes to Bamako was 450 km and the train took about two days and two nights . Time doesn't matter, it is more important to arrive.....how and when....

Gianni De Angelis. Ricordi Africani


 

sabato 10 febbraio 2007

Da Kayes a Bamakò in treno (2° parte) - De Kayes a Bamako en train -


 
 La Land Rover caricata sulla piattaforma


 Alla stazione di Kayes incontrai un residente francese il quale mi consiglio di non lasciare incustodita l'auto. Del treno da Dakar nessuna notizia. Aspettai fiducioso ma a lungo, infatti il treno arrivò il giorno dopo. Dormii dentro la Land Rover, ma fu quasi impossibile riposare bene per il troppo caldo.
Finalmente arrivò il treno da Dakar ed i ferrovieri spinsero letteralmente, con la forza delle loro braccia, la piattaforma per attaccarla al convoglio. Il tempo passava e niente si muoveva. Chiesi notizie in giro. Aspettavamo un altro treno che veniva da Bamako con la nuova squadra di macchinisti maliani, poichè l'attuale era senegalese. Per fortuna che la stazione era piena di venditori e si poteva comperare ogni cosa come frutta, polli, profumi, dolci, magliette ed acqua fresca ma non idonea per il mio stomaco. Il luogo era molto animato e rumoroso esattamente come un mercato. Finalmente il treno da Bamako arrivò in stazione. Dopo circa una ora vidi che tutti i venditori ambulanti lasciavano liberi gli spazi intorno al treno e ciò significava che stavamo per partire. Era ormai il tramonto. Il sole ancora una volta si scavava la sua tana all'orizzonte. Finalmente il treno si mosse e partimmo. La velocità non superava i 50 km ora. Nelle carrozze passeggeri non vi era sufficiente posto ed alcune persone presero posto sulla mia piattaforma che era abbastanza capiente. L'aria era calda. Fu quasi impossibile chiudere occhio per riposare. Venne il controllore a chiedermi i biglietti che esaminò con cura. Anche i passeggeri che stavano sdraiati sulla piattaforma furono oggetto di controllo. Vidi alcune persone che cercavano di nascondersi sotto la mia auto. Capii che qualcuno era senza biglietto e quindi cercava di sfuggire ai controlli. Il controllore agiva con cattiveria. Quando prendeva un povero cristo senza biglietto, prima gli chiedeva la somma dovuta, se costui non aveva di che pagare allora cercava di spingerlo giù dal treno. Seguitò ancora a strillare, ma poi giunse una calma surreale. Era tardi e tutti erano stanchi. Con la notte la temperatura si fece più sopportabile. La notte era completamente buia, non c'era uno spicchio di luna in cielo, solamente miliardi di puntini luminosi. Tutti si prepararono per cercare di dormire un po. Arrivammo alla stazione di Kita. Una piccola cittadina lungo la ferrovia. Naturalmente il treno fu preso d'assalto dai soliti venditori. Dopo una trentina di minuti il treno ripartì. Ma con mia grande sorpresa comincio' a rallentare fino a fermarsi completamente. Speravo che non fosse un guasto. Il treno iniziò piano piano a fare marcia indietro fino ad entrare di nuovo nella stazione appena lasciata. Ma che era successo? Qualcuno aveva fatto i segnali prestabiliti con una lampada tascabile al conduttore del treno, che naturalmente partì. Ma lasciammo il controllore "cattivo" a terra; così la marcia indietro era per recuperarlo. Una volta a bordo iniziò a strillare contro tutti in lingua Bambara. Era arrabbiatissimo. Sputi e saliva uscivano dalla sua bocca mentre urlava. Masticava la kola. Qualche passeggero ci rise sopra per il brutto scherzo giocatogli. Poi tutto si calmò ed il treno proseguì la sua lenta corsa notturna verso la capitale.

At the station I met a French person who told me not to leave the Land Rover alone because the place was full of thieves. Briefly I spent one day and a half at the station, eating and sleeping in the car. The weather was so hot that it was impossible to sleep during the night. I forget what I did for the toilet. Finally, the train arrived before evening. The railway people pushed my platform by hand and they attached it to the last goods wagon, and I was so happy; but the time passed and nothing happened. So I decided to check around to see what was going on. Somebody said that another train would come from Bamako, and the Malian crew would drive this train to Bamako.

The station was full of sellers; it was possible to buy everything, fruit, perfumes, chickens, cold water (good only for Africans), sweets, t-shirts. The place was so noisy and animated, like a market; before nightfall, the other train arrived at Kayes station. After one hour's waiting, I finally saw the sellers leave and the train started to run to Bamako. The train was made up of different passenger and goods wagons. The average speed per hour was about 30 km. On the passenger wagons the seats for all the people weren't insufficient; so some passengers came to take a place on my platform. I tried to spend the night eating fruit and sleeping with one eye open. Later on, the ticket collector came by and started asking train tickets to the passengers. I saw some people going under my car and somebody else going around my car not to seen by the ticket collector. I didn't understand what was going on; somebody saw me a little astonished, so he told me that some passengers were without tickets. The ticket collector was very nasty with those people; when he caught one of them, first he asked to be paid for the ticket and if the passenger couldn't pay his ticket, the man started to scream; I saw the ticket collector try to push the people without tickets out of the train. The ticket collector stopped to deal with the people without tickets and he said that at the next station he would call the police. An unforeseen calm came. It was only possible to hear the noise made by the train wheels running on the rails. The temperature was more tolerable. The darkness was so deep; no moon in the sky; I was thinking that on so dark a night it was  impossible see somebody or something: well, the night was so dark and the African people too....( it is not a matter of racism... it is only an ascertainment ). A light breeze came and everybody made preparations to spend the night. After a few hours, my attention was attracted by excited activity; some hoots came from the train's locomotive. Somebody said that in a few minutes we were going into Tintibà station. From the roof of my car I saw some red or white car headlights. The train finally stopped at the station. A lot of people were around. The station wasn't illuminated; only the goods sellers had an oil lamp. People got down from the train, people got on. I didn't see the ticket collector, but I saw people running away very fast from the platform where I was. A lot of passengers switched on their battery lamps. I bought oranges just to try to soothe my thirst, without bargaining (the bargaining is so common in Africa: if somebody doesn't bargain one is judged by the sellers not to be a very good buyer). The train suddenly started to move. Some sellers walked near the wagons to get the money from the passengers who had bought merchandise. After a few kilometres, the train stopped in the middle of the bush without an apparent reason. I saw somebody get down from one of the first wagons; in effect I saw a pocket lamp move; I supposed that it was somebody with the lamp. the man was walking in the direction of the end of the train; it stopped every now and then near the wagons. In the end, I understood that we had left the ticket collector at Baguineda station. Somebody made the right signal with his pocket lamp and the train driver understood it like the good one's done by the signalman. By the way, the train started to go back to Tintibà station to pick-up the ticket collector. I was thinking in my mind that only in Africa can something like that happen. In fact the ticket collector was there at the station waiting for the train to come back. He got on my platform and he started screaming in the Bambara language. Finally, the train set off again on its way towards Bamako. All the passengers turned off their pocket lamps, and everybody tried to find a good position to spend the rest of the night. The ticket collector disappeared. Nothing else important happened until morning.

venerdì 9 febbraio 2007

Da Kayes a Bamakò in treno (1 parte) - De Kayes à Bamako en train





La stazione di Kayes. La gare de Kayes. The Kayes station.

Il Mali è una dei più estesi Paesi Africani. Non ha accesso al mare. Ho visitato questo Paese più volte, sia per lavoro che per turismo, ma mai dimenticherò quel lungo viaggio in treno da Kayes, una cittadina ai confini con il Senegal, fino a Bamako. La motrice diesel e i vagoni che componevano il treno erano in pessime condizioni, sia per la loro vecchiaia che per la mancanza di manutenzione. Per raggiungere Bamako esisteva una pista in terra che in qualche tratto era veramente disastrosa. Decisi a quel punto di caricare la mia Land Rover sul treno. Era in marzo uno dei mesi più caldi in Mali. La temperatura può raggiungere facilmente i 50°. Quando andai alla stazione per chiedere informazioni per poter caricare l'auto sul prossimo treno diretto a Bamako, tutto sembrava filare liscio senza alcun problema. Dopo aver pagato il biglietto, chiesi al personale della stazione di Kayes quando prevedevano di poter caricare la mia auto sulla piattaforma in tempo per prendere il prossimo treno. Mi risposero che la piattaforma era già disponibile in stazione ma che il treno non sarebbe arrivato dal Senegal che l'indomani. Il prezzo del biglietto comprendeva anche il costo del carico e della legatura dell'auto, ma il personale addetto non si preoccupò più di tanto e chiamarono una squadra esterna per compiere questa operazione. Dopo circa più o meno un'ora di discussioni, accettai per una somma non troppo onerosa per me. Finalmente l' auto fu caricata sulla piattaforma in attesa del treno proveniente da Dakar. (prima parte).
 

Mali is one of the biggest nations in Africa, and it has no access to the sea. I've been there many times, but I'll never forget the time when I travelled by train from Kayes, a dusty town near the Senegalese border, to Bamako, Mali's capital.

The track was in very bad condition and longer than the railway. So I decided to load my Land Rover on the train. It was in March, the hottest month in that area of Africa: the temperature can easily reach 50 degrees centigrade. When I went to the station to book a place for my car on the next train to Bamako, everything seemed so easy. I paid my train ticket and I asked them when they were going to load my car on the platform and the time of departure for Bamako. They said that the platform was already on the station but the train could be on the day after , coming from Dakar. The loading and the tying of the Land Rover wasn't included in the train ticket, and the railway people didn't take care of it; they called somebody else for this kind of job. After more or less one hour's discussion, we agreed on a lump-sum. Finally, my car was loaded on the platform, waiting for the train from Dakar.